Medicina, fermi due corsi su tre E l’Insubria cerca prof “sostituti”

VARESE Alcuni corsi delle facoltà di scienze e medicina sono partiti ieri, ma senza ricercatori. E c’è l’effetto boomerang perché così la protesta non solo raccoglie nuovi sostenitori anche tra i docenti associati, ma si rinvigorisce con ulteriori accuse: «Sostituendo i ricercatori che tenevano i corsi con personale pescato altrove non solo si cerca di nascondere il senso dello sciopero bianco della didattica, ma si sminuisce la qualità dell’insegnamento a discapito degli studenti che la frequentano e del prestigio dell’università

stessa». Questa in sostanza la critica mossa dai ricercatori dell’ateneo dell’Insubria alla «soluzione» messa in campo dall’università per far partire le lezioni nonostante la protesta tuttora in corso.
Da settimane l’inizio delle lezioni universitarie viene rimandato anche a Varese per la scelta dei ricercatori di non salire in cattedra e attenersi alle sole mansioni che gli sono riconosciute (e quindi retribuite) dal Ministero per protestare contro il nuovo disegno di legge sull’università attualmente in discussione che, tra l’altro, rischia di lasciarli a casa con un pugno di mosche in mano. L’ultimo rinvio annunciato dai consigli di facoltà scadeva questa mattina, e così gli studenti si sono presentati di buonora nelle sedi universitarie di via Rossi e via Dunant per iniziare a frequentare le lezioni, che però sono partite solo in parte. «Per la facoltà di scienze sono partiti due terzi dei corsi, mentre per quella di medicina le proporzioni sono invertite, e cioè la maggior parte degli insegnamenti è senza docente» fanno sapere dagli uffici di via Ravasi, spiegando che «se i ricercatori sono determinati a non insegnare, l’università deve valutare altre soluzioni per evitare il blocco». «Soluzioni» come quelle pubblicate sul sito internet della facoltà di medicina, dove sono scaricabili nuovi bandi per assegnare a personale interno o esterno all’università i corsi di insegnamento fermati dallo sciopero bianco dei ricercatori. In pratica delle «sostituzioni» per le quali sono in alcuni casi è prevista una minima retribuzione, altrimenti sono prestazioni formalmente gratuite. 
«Si tratta di una risposta istituzionale al ribasso almeno per due ragioni – spiega Marco Cosentino, professore associato e docente di farmacologia – la prima è che utilizzare docenti occasionali o già in pensione per supplire al lavoro dei ricercatori significa ridurre la qualità dell’insegnamento perché è evidente che un qualsiasi professionista non necessariamente è aggiornato e sa insegnare come chi lo fa di mestiere. La seconda ragione è che una simile soluzione risponde al tentativo di nascondere agli occhi dell’opinione pubblica la reale portata della protesta, le sue ragioni e le proposte alternative e migliorative del progetto di legge avanzate dagli stessi ricercatori». Proposte che, specifica Cosentino, i ricercatori avevano presentato anche con mesi di anticipo senza essere mai stati neppure presi in considerazione.
Lidia Romeo

s.bartolini

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