Vietato da quarant’anni Ma nei laghi c’è ancora il Ddt

VARESE «A questi livelli di concentrazione non ci sono pericoli per la salute pubblica, ma questo non significa che la situazione sia da sottovalutare, anzi» commenta Silvana Galassi, docente di biologia dell’università degli studi di Milano promettendo, promettendo di continuare il lavoro di monitoraggio dei nostri bacini di acqua dolce.

Il Ddt (acronimo con cui è noto il Dicloro difenil tricloroetano) è un pesticida particolarmente inquinante che prima di essere messo fuorilegge, negli anni ’70, fu utilizzato per decenni e in abbondanza come valido insetticida soprattutto a protezione delle coltivazioni. Bandito dai campi dell’agricoltura per le sue controindicazioni nocive, questo veleno ha continuato per anni a infestare terreni e corsi d’acqua con un andamento altalenante, e non semplicemente decrescente come sembrava lecito aspettarsi dopo che il suo uso definitivamente vietato.

Prova ne è il fatto che tra il 2003 e il 2005 nelle acque del nostro lago Maggiore si è registrato un nuovo picco nella concentrazione di ddt persino superiore ai livelli di guardia. In particolare lo studio condotto da un gruppo di ricercatori delle due università (Roberta Bettinetti, Silvia Quadroni, Silvana Galassi, Renato Bacchetta, Luca Bonardi e Giovanni Vailati) sulla fauna di lago ha dato risultati allarmanti: in alcuni molluschi di acqua dolce come la «cozza di lago» (dreysena polymorpha) tra il 2003 e il 2005 la concentrazione di Ddt sarebbe aumentata di 150 volte, mentre nel pesce, nello stesso periodo, fu ritrovata una concentrazione di questo pesticida pari a 0,12 milligrammi per chilo, cioè più del doppio rispetto alla soglia di tolleranza per scopi alimentari fissata in 0,05 milligrammi per chilo.
Inizialmente per dare una spiegazione logica al fenomeno si pensò che potesse essere «l’eredità» lasciata da un’azienda chimica specializzata proprio nella produzione e nella lavorazione del Ddt e che operava proprio sulle sponde del Verbano. Ma se fosse davvero tutta colpa dello stabilimento (la Syndial – ex Enichem – di Pieve Vergonte che tra l’altro nel 2008 fu condannata dal tribunale di Torino a pagare una maxi multa di quasi due milioni di euro per il danno ambientale perpetrato in sei anni di scarichi, dal 1990 al 1996), perché anche nel lago di Como i ricercatori trovarono concentrazioni di Ddt paragonabili a quelle del Maggiore?

La spiegazione sta nelle estati calde e nello scioglimento dei ghiacciai. «È un fenomeno già osservato in altri angoli del pianeta, anche se mai in queste proporzioni – raccontano gli esperti – Il Ddt purtroppo lascia per anni traccie della sua presenza al suolo: sono i metaboliti che si spostano in atmosfera e che possono tornare in forma di neve o pioggia, finendo in qualche modo intrappolati sotto la neve dei ghiacciai». Qui vengono conservati fino a quando non arrivano estati molto calde (come quella del 2003) che li libera assieme allo scioglimento dei ghiacciai e li porta fino al lago. E il Ddt si deposita nuovamente, questa volta sui fondali più profondi «ma basta un inverno più freddo del solito perché si registri un completo rimescolamento delle acque e la sostanza rientra in circolo», avverte la Galassi. Insomma, tutti i laghi sono potenzialmente a rischio.
Lidia Romeo

e.marletta

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