Al Circolo una donazione da una paziente a cuore fermo

Normalmente un prelievo multiorgano si effettua con un donatore il cui cuore batte ancora

Il cuore si ferma, ma la sua generosa determinazione unita alla professionalità di un’intera equipe di chirurghi dell’ospedale di Circolo di Varese, ha permesso che la fine precoce della sua vita potesse tradursi in un nuovo futuro e nuova speranza per altre persone in attesa di trapianto.

È successo lunedì scorso, quando le sale operatorie dell’ospedale di Circolo hanno visto la prima donazione di organi prelevati da paziente a cuore fermo. Una pratica complessa, operata in Italia solo dal 2010 e praticata in pochissimi ospedali, tra cui il nostro.

La prima donazione a cuore fermo di Varese è avvenuta grazie alla generosità di una donna di cinquant’anni che in vita aveva espresso con forza la propria volontà di donare. Un gesto generoso, in linea con la sua personalità buona e discreta, assicurano gli amici che ieri le hanno dato l’ultimo saluto.

Perché al momento della morte la donazione possa poi avvenire davvero, la volontà del defunto però non basta. Devono concretizzarsi alcune condizioni particolari e, non di secondaria importanza, bisogna trovare la competenza e la professionalità di un team sanitario motivato. Ed è anche questo che la città di Varese può vantare nel raggiungimento di questo risultato: l’impegno di un gruppo di professionisti affiatati, in servizio all’Ospedale di Circolo e che quotidianamente si dedicano ai prelievi di organi e tessuti.

Normalmente quando si parla di «prelievo multiorgano» si fa riferimento ad una donazione da parte di un paziente per cui è stata sì accertata la morte cerebrale, ma il cui cuore non ha smesso di battere.

«All’estero invece il prelievo di organi a cuore fermo è una prassi molto diffusa – spiega il Paolo Grossi, direttore del Dipartimento trapianti dell’ASST dei Sette Laghi – In Italia invece è praticata solo da pochissimi centri, primo fra tutti l’Ospedale di Pavia, e comunque non ha trovato applicazione fino al 2010». Per gli ospedali varesini questo è il primo caso, «ma mi auguro che questa prassi possa consolidarsi – aggiunge il primario – perché offrirebbe l’opportunità di aumentare notevolmente il numero di organi disponibili per i tanti pazienti in lista d’attesa».

A questo proposito il professor Grossi tiene a sottolineare che «grazie alle procedure di perfusione, praticate sia prima che dopo il prelievo, la qualità degli organi donati da un paziente a cuore fermo è assolutamente sovrapponibile a quella degli organi prelevati a cuore battente». Certo, la procedura da seguire è più articolata e complessa, «e varia a seconda che si tratti di un arresto cardiaco prevedibile oppure della conseguenza di un evento acuto improvviso – precisa – ma i vantaggi sono evidenti e importanti».

In questo caso, gli organi prelevati lunedì scorso al Circolo dalla varesina deceduta, stanno già regalando un futuro migliore ad altri tre pazienti: il fegato è stato trapiantato con successo all’ospedale Niguarda di Milano, dove un altro paziente ha ricevuto uno dei reni.

Il secondo rene sta invece funzionando nel corpo di un paziente del Policlinico di Milano. Altri vari tessuti prelevati sono conservati nelle rispettive banche, in attesa di essere utilizzati per ridare nuova vita ai pazienti in attesa.