Bastardi terroristi Io in Tunisia ci tornerò

L’editoriale di Francesco Caielli sui tragici fatti di Tunisi

La Tunisia è un grande Paese. Bellissimo d’una bellezza commovente, capace di offrire d’un solo colpo un mare cristallino, angoli di storia, il fascino del nulla, lo spettacolo inimitabile del deserto. Quello tunisino è un grande popolo. Splendido nelle sue contraddizioni, complicato da comprendere, straordinario nella sua generosità una volta che ne hai accettato le sfumature e gli angoli.
La Tunisia è un Paese molto più europeo che nordafricano, un paese che assomiglia più a noi che agli stati arabi.

Gli italiani la amano, ricambiati: ci vanno in vacanza, ci fanno affari, ci trasferiscono le loro aziende. La Tunisia è un esempio di come democrazia e tolleranza possano abitare ovunque senza il bisogno di esportarcele a forza di bombe. Un Paese musulmano senza estremismi, un paese in cui c’è stata una rivoluzione che ha creato le basi per un futuro diverso. Per un futuro insieme.
Ecco perché i morti di Tunisi sono qualcosa che ci devasta il cuore, qualcosa che ci tocca da vicino e non solo perché quattro di quei poveretti fossero italiani. Ecco perché l’attentato al museo del Bardo è una notizia tragica: come se quella follia fosse avvenuta agli Uffizi o ai musei Vaticani. Quei morti sono roba nostra, ci piaccia o no.
Il terrorista ha colpito duro e ha colpito dove sapeva che avrebbe fatto male, riuscendoci. È entrato nelle case di tutti senza bussare, come un ladro infame, rubando la nostra serenità. Il messaggio degli assassini è chiaro, non ammette repliche: “Non sarete più tranquilli, ovunque voi siate”. E il messaggio è arrivato, eccome se è arrivato. Chi scrive ama la Tunisia: la conosce, l’ha vissuta, la rispetta e oggi la piange. Dopo ore d’apprensione in attesa di una telefonata o di un messaggio su Skype che dicesse “Sto bene, tutto ok” (grazie, Enrico), dopo giornate passate a pensare a quel che sarà adesso. Perché chi scrive, in Tunisia ci va ogni volta che può e ci porta pure la sua famiglia (una moglie, due bambine piccole): viaggiare ascoltando culture diverse è il modo migliore per crescere e diventare uomini e donne del mondo.
Anche questa volta, i biglietti per il prossimo viaggio – tra un paio di mesi, una settimana sulle meravigliose coste di Cap Bon a casa di amici – erano già stati fatti. Gli spari di Tunisi hanno messo tutto in discussione: è davvero il caso di andare? È davvero il caso di portare due bambine di 2 e 4 anni in un paese che, l’ha dichiarato il suo presidente, è in guerra? La razionalità direbbe di no, che domande. Queste sono cose che non si fanno, o meglio: che fanno soltanto gli incoscienti.
Però, forse è il caso di farsene altre di domande. È il caso di chiedersi se anche noi vogliamo combattere, a modo nostro, questa guerra. Rispondendo con la serenità a chi la serenità cerca di rubarcela, con la normalità a chi cerca di riempirci di paura. Perché c’è tanta voglia di non darla vinta ai maledetti professionisti del terrore.
La Tunisia è un Paese meraviglioso, nel museo del Bardo ci sono i mosaici romani più belli del mondo, le dune del deserto sono lo spettacolo tra i più affascinanti che un uomo possa ammirare. Non ce li porterete via, maledetti bastardi: e io non vedo l’ora di tornarci.