Binda respinge tutte le accuse: «Niente lettera: non ho ucciso»

L’uomo affida al legale la sua versione. «È sereno e tranquillo». Di recente contatti con gli amici Cl: perché? Tra loro anche Sotgiu

VARESE – «Sono innocente. Non ho mai scritto quella lettera, né ho mai ucciso ». affida la sua dichiarazione di estraneità ai fatti all’avvocato difensore, che lo ha incontrato in carcere.
Binda è apparso «sereno ed estremamente tranquillo – spiega Martelli – Non ha fatto richieste particolari, non ha mostrato uno stato di prostrazione dovuto alla carcerazione. Piuttosto si è mostrato preoccupato per la madre settantatreenne – continua l’avvocato – ha chiesto come la madre stesse affrontando questa situazione e se la madre stesse bene».
Binda ha timore che l’arresto con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato che alle 6.30 di venerdì mattina ha portato gli agenti della squadra mobile di Varese a bussare alla porta dell’abitazione di via Cadorna a Brebbia dove il quarantanovenne vive con la madre Mariuccia, possa incidere sullo stato di salute della donna.

Per il resto il disoccupato laureato in filosofia, vicino a Comunione e Liberazione in gioventù, ma «selettivo con gli amici, forse arrogante», come viene descritto dalle amicizie di allora, colto e intelligente che però “non è ancora riuscito a trovare una propria collocazione sociale», scrive il gip nell’ordinanza, non si discosta di un millimetro dalla posizione assunta ad agosto.
Da quando cioè è stato debitamente informato dagli inquirenti di essere indagato per l’omicidio di Lidia Macchi.

«Come continua a ripetere da agosto, e come ha dichiarato nei due interrogatori precedenti l’arresto, il mio assistito rigetta ogni addebito – spiega Martelli – Non è lui l’autore della lettera non è lui l’assassino di Lidia Macchi».
Martedì Binda sarà ascoltato dal gipi, che ha confezionato l’ordinanza di custodia cautelare che ha portato all’arresto dell’uomo, in sede di interrogatorio di garanzia. Binda in quel frangente potrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere. «Il fascicolo d’indagine è complesso e articolato – spiega Martelli – Le carte, parliamo di migliaia di pagine, vanno studiate con estrema attenzione».

Nel frattempo l’indagine prosegue. C’è ad esempio l’ipotesi che Binda potesse aver avuto un complice ad oggi ignoto. Se per gli inquirenti fu lui a scrivere la lettera “In morte di un’amica”, che il sostituto procuratoreconsidera una sorta di confessione dopo lo stupro e l’omicidio di Lidia da parte dell’autore della barbarie, non fu Binda ad affrancare il francobollo alla busta contenente la missiva recapitata alla famiglia Macchi il 10 gennaio 1987 giorno dei funerali di Lidia.
Lo prova il Dna: quello trovato sul francobollo non appartiene a Binda. «Questo – scrive il gip nell’ordinanza – potrebbe indicare la presenza di un complice di Binda, oppure un tentativo di depistaggio». Di fatto, quando Binda apprende di essere indagato (come suo diritto) ricontatta i vecchi amici di Comunione e Liberazione, compreso uno dei responsabili varesini del movimento, con il quale «ha una lunga conversazione», si legge nell’ordinanza ma che «non ha mai tenuto comportamenti censurabili in relazione all’inchiesta», precisa il gip.
In altre parole Binda «ha cercato di riprendere contatto con quel passato – scrive il gip – per prepararsi ad un possibile sviluppo delle indagini». Tra i vecchi amici che Binda ricontatta c’è anche , oggi sacerdote, che Binda cerca per interposta persona.
Sotgiu era nel 1987 il migliore amico di Binda, i due ragazzi erano cresciuti insieme sin da bambini quando «insieme servivano la messa come chierichetti».

Nell’ordinanza il gip Giorgetti scrive che Sotgiu nel 1987 cercò di fornire un alibi a Binda. Binda infatti, sentito il 13 febbraio del 1987 dagli inquirenti dichiarò che il 5 gennaio 1987, giorno in cui Lidia Macchi fu uccisa, si trovava a Pragelato per una vacanza di Gioventù Studentesca ed era quindi lontanissimo da Cittiglio.
Nella stessa giornata fu ascoltato Sotgiu che dichiarò che quella sera lui, Binda e un altro amico andarono al cinema a vedere “Il colore viola” «o forse un altro film horror». Il 17 febbraio 1987 Sotgiu, però, cambia versione, dichiarando che il 5 gennaio si trovava a casa di amici e vide con loro un film in televisione.
Della presenza di Binda non si fa cenno. Per il gip «Binda e Sotgiu si parlarono e Sotgiu modificò le sue dichiarazioni perché convinto che gli amici presso i quali aveva trascorso la serata non avrebbero mentito. Occorreva, dunque, modificare leggermente la dichiarazione in modo da allontanare Binda da Cittiglio».
Il 20 gennaio 2014, infine, Sotgiu «non nomina Stefano Binda tra le frequentazioni di Lidia Macchi, mentre altri amici dell’epoca li indicano come inseparabili in quel periodo». Negli anni, però, i rapporti tra Sotgiu e Binda si sarebbero incrinati a causa della tossicodipendenza di Binda. Sotgiu nel 2008 disse alla donna che ha poi riconosciuto la grafia di Binda che Binda «non era una buona frequentazione» in quanto «non è ciò che appare». E Sotgiu in caso di rinvio a giudizio sarà certamente chiamato a testimoniare.