Frontalieri inversi: a Gallarate il caffè è italiano

Vivono nel canton Ticino, ma hanno scelto l’Italia per lanciare la loro attività. E hanno aperto a Gallarate la loro torrefazione, dove tostano il caffé con due macchine degli anni Cinquanta.

e sono i due soci che hanno dato vita a Microtorrefazione, azienda artigianale che ha trovato casa nelle ex fabbriche tessili di via Riva. I due, entrambi italiani, si sono conosciuti lavorando a Lugano per un birrificio.
Il primo a lasciare è stato lui, qualche mese dopo anche lei si è licenziata. E hanno deciso di darsi alla produzione di caffé. «Siamo tornati perché abbiamo un forte legame con l’Italia», spiega Bondoni. In realtà,

sono tornati solo di giorno, visto che la sera tornano in Ticino a dormire. E insomma, sono due frontalieri “al contrario”. Conoscono bene i vantaggi che hanno le imprese in Svizzera, ma nonostante questo eccoli a Gallarate. «Il nostro mercato principale è quello italiano, avremmo speso un sacco di soldi di dogana».
La scelta dei Due Galli, poi, nasce da un innamoramento a prima vista. «Una notte stavo guardando gli annunci immobiliari, ho visto questo capannone e ho capito che era lui», ricorda Bondoni. Qui i due soci hanno installato due macchine, entrambe degli anni Cinquanta. Una è una Vittoria del 1957 alimentata a gas, l’altra una Bava del 1954 che invece funziona con la legna. Per tostare il caffé, quindi, non basta schiacciare un pulsante e lasciare che la macchina faccia il suo dovere. «Si lavora tra i 190 ed i 230 gradi, l’operazione dura dai 14 ai 18 minuti». Tutto regolato manualmente, come una volta. Del resto, i due soci una certa passione per l’antiquariato ce l’hanno: all’ingresso del laboratorio c’è un pianoforte vecchio di un secolo, in una stanza un tecnigrafo coetaneo delle due tostatrici. Ma non per questo rifiutano le tecnologie moderne. «Ci serve un software che misuri in tempo reale temperatura e umidità, per questo abbiamo chiesto aiuto a FaberLab», il “laboratorio delle meraviglie” che Confartigianato ha aperto a Tradate. E non è tutto. «Abbiamo voluto costruire una storia intorno al nostro caffè. Attraverso le varie miscele raccontiamo una città teorica che è Milano, ma non è Milano. È un luogo dell’anima, più che un luogo fisico». Eppure i riferimenti meneghini si sprecano. Delle tre miscele finora studiate, una si chiama “La Ligera”: «è il nome con cui era conosciuta la mala milanese, prima che arrivasse Vallanzasca». Poi c’è “Giambellino”, dedicato all’omonimo quartiere della periferia sud ovest del capoluogo. E “Vigorelli”, come lo storico velodromo che ha scritto pagine di storia del ciclismo.