I 500 dell’Islam in centro «No violenza, sì alla pace»

Tanti bimbi tra i partecipanti alla manifestazione dei musulmani. Dalla stazione arrivo a piazza Monte Grappa. E nessuna “forzatura”

– Davanti al serpentone che si snoda lentamente, entrando nel cuore del sabato pomeriggio varesino, ci sono i bambini.
Saranno una ventina. A loro vengono messe in bocca le parole che fanno da colonna sonora all’intera durata del corteo, espressioni universali che dovrebbero valere per tutti: «No alla violenza, vogliamo la pace».
Nulla nella marcia organizzata ieri dalla Federazione islamica lombarda è stato lasciato al caso. Non lo è la decisione di allestire questa avanguardia rappresentativa e costruttrice del futuro: un modo per dire che tutto è in mano alle nuove generazioni, soprattutto l’integrazione, ma anche forse per cautelarsi da qualsiasi reazione contraria a una manifestazione che non ha precedenti nella storia della città di Varese.

Non lo è il resto della disposizione: gli uomini davanti, alcuni si tengono per mano, e le donne dietro – tante donne – a rivendicare una separazione pubblica dei sessi e tutte quelle tradizioni culturali che vivono e vivranno per sempre, anche in terra straniera.
Non lo è, infine, nemmeno il messaggio letto al ritorno presso lo scalo ferroviario e inviato da monsignor : «Nessuno ha il diritto di usare la propria religione o il proprio Dio per uccidere o dichiarare guerra.

Ci si deve aiutare nella riconciliazione tra popoli, nel rispetto di tutti, e nel desiderare sempre di più la pace». Insomma: noi qui non siamo soli.
Per la questura sono duecento, ma sembrano almeno il doppio. Quelli che partono in un lento peregrinare con destinazione piazza Monte Grappa di certo non sono i tremila annunciati dagli organizzatori. Via Morosini, poi Vittorio Veneto, infine il centro.
A fare da contorno c’è il placido shopping che viene appena scalfito da questa strana visione. Nessun commento, nessuna contrarietà, forse indifferenza. La tappa finale doveva essere Palazzo Estense, ma l’autorizzazione è stata negata: se volete, vi fermate in piazza Monte Grappa.
Loro non si fermano, fanno la rotonda come fossero ciclisti e tornano indietro: «Sostare vorrebbe dire disturbare la cittadinanza – dice Mohamed che fa parte del servizio d’ordine – Abbiamo soprasseduto: non è giusto farlo».
Ci sono i colori delle bandiere (l’immancabile vessillo arcobaleno e quelli di Egitto, Marocco e Palestina), e gli striscioni: “I love Maometto”, “Chi uccide un uomo è come se avesse ucciso l’umanità intera. Corano”, “L’islam è una religione di pace e amore”. Ci sono le voci, non durante la marcia, ma alla fine della stessa: «Non siamo qui per islamizzare, perché non c’è costrizione nella fede – spiega, portavoce della comunità islamica di Varese – Come autentici musulmani vogliamo semplicemente affermare che la nostra è una religione di pace, misericordia, perdono e amore».
Ci sono i politici locali (Fi): «Molti cittadini eguagliano l’Islam al terrorismo, ma solo perché hanno poco desiderio di capire la realtà di questa religione» e (Sel): «La convivenza tra persone con cultura, religione e usanze diverse è possibile e tutti devono capire che solo uniti si affrontano le sfide».

La richiesta di un nuovo luogo dove professare il proprio culto sembra svincolata dalla manifestazione, non emerge con slogan o dichiarazioni pubbliche. C’è solo un cartello: “Se l’Italia è un Paese laico, perché non ci lascia professare in pace? Non siamo terroristi”. Stimolato in tal senso Baroudi risponde semplicemente: «Le moschee sono luoghi dove si costruiscono gli uomini di pace».
A smorzare una richiesta, in questa sede ben celata, ci penserà poco dopo l’ex assessore : «Nessuna nuova moschea. Anzi si metta in discussione il Centro islamico attuale».