«Il mio vicino di casa Roberto Donadoni. Uomo vero e semplice, il bello del calcio»

Il varesino Riccardo Aceti e l’amicizia col mister: «Nell’86 abitava qui, poco distante da casa Maroso. Si faceva intervistare dai miei compagni alle elementari e veniva a Capolago per vedere i pulcini»

VARESE – «Anche per me il calcio si chiama Donadoni, e a trent’anni di distanza non posso che confermarlo». Parole e musica di Riccardo Aceti, ingegnere varesino che custodisce tra le mani e tra i ricordi un’amicizia straordinaria con Roberto Donadoni.

È l’inizio di una lettera che riceviamo proprio da Riccardo che, dopo aver letto l’editoriale del direttore Andrea Confalonieri sul giornale di giovedì 7 gennaio, decide di raccontarci la sua storia e di aprire il libro dei ricordi.
Quindi iniziamo, scorrendo a ritroso con le pagine fino al 1986: «Era l’anno in cui Roberto arrivò al Milan -racconta Riccardo- e proprio per questo motivo prese casa a Varese. Nello specifico, in via Oriani, poco distante dalla casa di Peo Maroso, giusto per intenderci. Calcisticamente una zona fortunata, nelle vicinanze del Campus. Io vivevo proprio lì in zona, e lo conobbi quando arrivò. Mi stavo avvicinando al calcio in quel periodo, avevo nove anni e lo stesso Peo Maroso, amico di famiglia, mi spinse ad iniziare al Bosto mentre Roberto si trasferì dall’Atalanta al Milan, prendendo appunto residenza a Varese».

A Riccardo sembrava di toccare il cielo con un dito: «Per me fu come vivere un sogno ad occhi aperti, la mia famiglia e la sua si conobbero ben presto, e nacque fin da subito una bella amicizia ed una simpatia reciproca. Sono milanista, e lui mi diede la possibilità di entrare a San Siro per la prima volta nella mia vita, era un Milan-Sampdoria della stagione 1986-87. Rimase a Varese un anno solo, perché

con l’avvento di Sacchi ai calciatori venne chiesto di avvicinarsi di più a Milano per vivere tutti vicini. Però per quanto fu breve, per me fu il Paradiso. Provate ad immaginare: sei un ragazzino tifoso del Milan, stai muovendo i tuoi primi passi da calciatore e ti ritrovi Roberto Donadoni come vicino di casa, e anche amico. Davvero un sogno. In quell’anno Roberto esordì in Nazionale, e mi regalò una sua maglia azzurra che ancora custodisco gelosamente, in occasione della mia prima comunione».

Le sue parole dipingono un ritratto di Donadoni stupendo, umano, in contraddizione con quanto ci si potrebbe aspettare da un calciatore: «Era ed è un ragazzo generoso, altruista, umile, eppure avrebbe potuto benissimo essere fuori dagli schemi. Sempre in quell’anno mi accompagnò a Milanello, era il primo gennaio 1987. Passai la giornata con i calciatori, potete immaginare la felicità. Ma gli aneddoti sono tanti: ad esempio, per inquadrare meglio che tipo era Roberto, mi torna alla mente quella volta che venne alla mia scuola elementare, Maria Ausiliatrice, e si lasciò intervistare dai miei compagni di classe. Frequentavo la terza elementare, lui si mise a disposizione con grande entusiasmo».
Da semplici vicini di casa, il rapporto si trasformò in qualcosa di più bello, in amicizia e affetto, che a distanza di trent’anni non sono svaniti anche se le possibilità di vedersi sono sempre meno: «Ci sentiamo spesso, soprattutto in occasione delle feste. Vedersi è difficile, anche se avrei voluto esserci all’amichevole ad inizio stagione scorsa tra Varese e Parma, ma anche all’incontro di Coppa Italia della stagione ancora precedente. Ricordo con piacere tanti spaccati di vita quotidiana condivisi con lui, che si comportava come un vicino qualunque dimenticandosi di essere un calciatore e soprattutto senza tutte le seghe mentali che ci sono oggi. Una delle prime cose che chiese ai miei genitori, mi viene in mente come fosse ieri, fu una chiesa dove fosse possibile andare a messa, oppure il parrucchiere. Frequentava quello di Avigno, che recentemente ha chiuso. Roberto un giorno venne anche a Capolago a vedere una mia partita tra i pulcini e, ironia della sorte, quel giorno segnai il mio primo gol da calciatore. Arrivai anche al Milan, nella squadra Berretti, e siccome il destino a volte fa degli scherzi magnifici, riuscii ad allenarmi qualche volta proprio assieme a Roberto».

Riavvolto il nastro, torniamo ad oggi: «Leggendo l’articolo di Confalonieri, mi è venuta in mente una telefonata che feci in quegli anni a TeleLombardia durante una trasmissione di Gianni Brera. Presi coraggio, e mi rispose proprio lui, Brera, e gli dissi che il mio idolo calcistico era Roberto Donadoni. Lui rimase piacevolmente sorpreso. Quindi, a distanza di trent’anni, non posso che confermare che il calcio per me è Roberto Donadoni. E da milanista, ammetto di aver sperato di vederlo sulla panchina del Milan l’estate scorsa. Perché se la merita, per eleganza, per competenza, per capacità, per tutto quanto. Perché è Roberto Donadoni, e questo vale a spiegare tutto».