«In questo carcere può entrare tutto»

Dopo l’arresto dei cinque agenti della polizia penitenziaria si delinea il quadro dell’indagine Alcatraz. Il romeno Miclea: «Se volevo un telefonino, bastava chiederlo». Poi: «Vai ancora con le mie prostitute?»

– «Se io volevo un telefono, bastava chiederlo». È , 29 anni, romeno, uno dei tre evasi dal carcere dei Miogni il 21 febbraio 2013, a vantarsi del controllo che aveva all’interno del carcere di Varese. «Si sa – spiegava il detenuto – nel carcere di Varese può entrare di tutto». Miclea è considerato la mente della rocambolesca evasione nonché un uomo potentissimo in seno ai Miogni.
È quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere per procurata evasione, corruzione, minaccia, falso ecologico e intralcio alla giustizia, cinque agenti della polizia penitenziaria di Varese: , 55 anni di Venegono Inferiore, , 45 anni di Inarzo, , 57 anni di Induno Olona,, 28 anni di Varese, e , 40 anni di Rancio Valcuvia.

Ordinanza prelevata ieri mattina dai difensori dei cinque arrestati impegnati nel tracciare la strategia difensiva. Dalle 18 pagine dell’ordinanza confezionata dal gip , su richiesta del pubblico ministero che ha coordinato le indagini, emerge uno spaccato dei Miogni dove insiste «una situazione di preoccupante promiscuità tra alcuni agenti della polizia penitenziaria e i detenuti», scrive il gip che parla di «scellerate alleanze» tra guardie e carcerati.
Dalle carte emerge prepotente la figura di Miclea,

che ha ottenuto almeno tre telefoni cellulari (in un caso con una sim sicura intestata alla sorella di un altro detenuto) in cambio di 400 euro.
Miclea che, secondo le risultanze delle indagini, aveva un rapporto strettissimo con «l’agente delle cucine», come viene definito Trovato, con Di Pietro e con Petricone. Al quale Miclea, come si legge, ha persino chiesto: «Vai ancora con le mie prostitute?».
Il sesso di fatto era la forza di Miclea, gestore di un gran giro di ragazze utilizzate per “pagare” in natura l’evasione andata in scena nel febbraio 2013.
In particolare Trovato e Petricone sarebbero stati particolarmente servizievoli nei confronti del giovane romeno. Non solo i telefoni, non soltanto le preziose informazioni necessarie ad evadere, ma anche altre carinerie.
Come la Coca Cola fresca portata in cella fuori orario, oppure la possibilità di lasciare la cella quando voleva per andare in palestra ad allenarsi, o ricariche da 20 euro sul cellulare.

Miclea che ha cambiato in corsa il piano per evadere (il primo lo avrebbe visto fuggire da solo simulando un’aggressione a Trovato in qualità di complice) e non ha avuto bisogno di nascondere in alcun modo il rumore delle lime che per tre ore hanno tagliato le sbarre della finestra dalla quale è fuggito con e .
«Mezzo carcere deve aver sentito quel rumore – raccontano alcuni dei testi ascoltati dagli inquirenti – Di notte lì senti tutto quello che arriva dalle celle, persino lo sciacquone del bagno». Nell’ordinanza sono contenute anche alcune cifre versate agli agenti per garantire la fuga ai tre: Miclea avrebbe versato a Russo 20mila euro.
E dagli accertamenti della guardia di finanza di Varese è emerso che Russo, pur versando in rilevanti difficoltà economiche, nell’ottobre del 2013 si era comprato un’auto da 22mila euro. L’inchiesta rivela uno spaccato carcerario dove, di fatto, Miclea si comportava come un piccolo boss.