«Io, accoltellato per una bicicletta»

Omar è il senegalese aggredito nei giorni scorsi: «Qui a volte c’è da avere paura». Vive negli edifici abbandonati: «Il mio sogno? Tornare in Africa. Ma non ho i soldi»

– «Guarda, mi ha tagliato qui, proprio dietro la coscia. Visto? Stavolta mi è andata bene, ma qui c’è da aver paura. Mi poteva anche ammazzare…». Omar è senegalese e ha 56 anni, anche se ne dimostra dieci di meno. Qualche giorno fa è stato accoltellato da un tunisino fuori dalla stazione Nord di Busto: «Non lo conoscevo neanche, non ci siamo mai parlati. A un certo punto è impazzito: prima ha colpito una macchina parcheggiata, poi è venuto da me e mi ha bucato qui, col coltello. Senza motivo. Gridava come un matto, era fuori di sé». Omar parla un ottimo italiano, intercalato da qualche espressione spagnola e francese. Prima di venire in Italia ha fatto l’elettricista-frigorista sulle navi, e girando il mondo ha imparato diverse lingue.

Dopo qualche esperienza in Spagna, Francia e Germania, qualche anno fa Omar arriva in Italia, a Parabiago. All’inizio le cose vanno bene: ha un lavoro, una vita tranquilla, sposa una ragazza di Garbagnate. Ma dopo qualche anno il destino rimescola le carte, e Omar perde tutto: prima viene licenziato, poi divorzia dalla moglie. «Per me è cambiato tutto. Ogni tanto faccio qualche lavoretto per tirare a campare. Quanto basta per sopravvivere, anche se a fatica.

In questi anni, giù in Senegal, sono morti entrambi i miei genitori, prima il papà, poi la mamma. Non ho potuto neanche andare al funerale, non avevo il denaro per pagarmi il viaggio. Tornare in Senegal è il mio sogno, ma adesso non posso neppure pensare di realizzarlo: non ho soldi, non ho niente, mi è anche scaduto il passaporto». Ora Omar dorme in una casa abbandonata a Busto: «Non quella vicina alla stazione, lì è piena di topi, anche se ci vivono in tanti. Molte volte sono andato a mangiare alla Caritas, dove c’è gente bravissima, pronta ad aiutare senza chiedere niente in cambio. Sai, l’Italia non è diversa da altri paesi: dappertutto trovi farabutti e brave persone, mica sono tutti uguali. Quello che non mi piace è che se pescano un delinquente non lo puniscono. Qui finché non ammazzi una persona non ti succede niente: all’estero c’è molta più severità…Oh, ciao zio!».

Omar interrompe il discorso per salutare uno dei tanti habitué che stazionano all’esterno della stazione Nord. Sono tutti stranieri: nordafricani, pakistani, senegalesi. Parlano nelle loro lingue ma, di tanto in tanto, nei loro discorsi indecifrabili inseriscono parole italianissime: «Cento euro, cento euro!» urla un uomo grande e grosso al suo amico, prima di riprendere la conversazione in arabo. «Anche tra di loro trovi le brave persone e i balordi, c’è un po’ di tutto. Io scambio qualche parola solo con i miei amici senegalesi, tutta brava gente – continua Omar – Con gli altri non parlo». «Qualcuno spaccia, proprio qui davanti alla stazione. Marijuana, fumo. Alla luce del sole. La polizia passa, anche abbastanza spesso, ma può fare poco. Anche se li portano via, dopo qualche giorno li ritrovi qui, oppure ne trovi altri. È gente che non ha una dimora, non ha un lavoro, non ha nulla». Eppure Omar non ha perso la speranza di poter tornare in Senegal, per respirare i profumi della sua terra, posare un fiore sulla tomba dei suoi genitori, ricominciare a vivere. «Continuo a cercare un lavoro, ma è dura, molto dura. Però non mi arrendo, non ho alternative. Non farò come certi miei amici che si sono buttati sotto un treno».