«Io non perdo mai. O vinco o imparo». Così parlò il Betti, «mister poco gestibile»

L’unica intervista di Bettinelli dopo la serie B e un rispettoso silenzio di un anno e mezzo. Nel segno di Pertini

Vi proponiamo questa intervista realizzata dal blog Eccellenza biancorossa a gennaio: è l’unica rilasciata da Stefano Bettinelli nel suo rispettoso e doloroso anno e mezzo di silenzio lontano dal Varese. Ora il Betti è tornato e lo ha fatto rispettando questa intervista, a partire dal ringraziamento con cui ha aperto il suo intervento nella conferenza stampa di ieri nei confronti del suo predecessore e collega Ciccio Baiano.


Ha rispettato la parola data. E ciò vale già moltissimo. Aveva promesso di stare in silenzio dopo l’ultima panchina a Terni. Aveva promesso, appunto. E ha mantenuto. «Finito un capitolo se ne apre sempre un altro» aveva dichiarato dopo la sfida del “Libero Liberati”. E se un capitolo in panchina non si è ancora aperto, un nuova pagina nella vita è stata riempita. Perché siamo qui, dopo un anno e mezzo. Siamo qui davanti a un caffé,

che l’intervistato ha voluto zuccherare proprio come ci racconta di aver provato a zuccherare gli ultimi mesi del Varese 1910. Siamo qui con un personaggio che per la maglia biancorossa ha combattuto molte battaglie: Stefano Bettinelli. E sì, perché il Betti ci ha fatto un regalo. Ci aveva promesso di tornare a parlare della sua esperienza in biancorosso con un’intervista prima del Natale 2016. E, dopo molti mesi di accorato e rispettabile silenzio – silenzio di chi ha sofferto e soffre ancora – Stefano Bettinelli è tornato ad affrontare quelle bellissime e sciagurate vicende. È tornato a parlare. A parlare del suo amato Varese. Ecco il racconto, parola per parola, di quello che ci siamo detti.

Sono pronto. E lasciatemi aggiungere che se oggi potessimo contare su personaggi come Sandro Pertini, l’Italia non verserebbe nelle condizioni in cui è attualmente.

Con grande sofferenza, perché capivo che nella società non tutti remavano dalla stessa parte. Io volevo solo portare in porto la barca Varese con la convinzione che, anche in una situazione del genere, avremmo potuto salvare la categoria ad una condizione: l’unità di intenti. E capire che qualcuno non aveva la mia stessa passione nel cercare di portare a compimento questo scopo mi ha fatto davvero male.

Una domanda davvero toccante. Penso che il carcere fisico di Pertini sia incomparabile a qualsiasi altra situazione ma effettivamente la mia anima era legata a delle catene che avrei voluto spezzare. Per dimostrare quanto amavo ciò che stavo facendo.

Avrei voluto vivere quei 7 giorni come una libertà ma invece è stata un ulteriore sofferenza. Pensavo che stando lontano dal campo quella sofferenza fosse scemata. E invece no. È aumentata perché mi sentivo uno sconfitto. Perché avevo tanta voglia di lottare in quello che credevo, contro tutto e contro tutti. Insomma, è stato un esilio. Mi hanno portato via un pezzo di cuore.

Le persone più importanti per me – dopo la vittoria più eclatante e nell’umiliazione della sconfitta – sono i miei familiari. Ho abbracciato mia moglie e mio figlio.

Una volta mi è stato detto da un direttore sportivo che avrei fatto una carriera limitata perché sono un allenatore poco gestibile. Ma se per “poco gestibile” si intende una persona con degli ideali, che crede in ciò che fa e fa solo ciò in cui crede, quella è la migliore descrizione di me che sia mai stata fatta. Non ho mai firmato un contratto di due anni e non ho mai pregato nessuno di confermarmi. Se volevano Bettinelli dovevano accettarlo così come era. In tutto e per tutto.

So di aver avuto grandissimi manifestazioni di affetto da parte dei tifosi; un affetto che mi ha gratificato. A volte sono stato anche contestato dalla Curva ma non l’ho mai letto con un attacco personale. Volevano e vogliono solo bene alla squadra, alla maglia. Ho capito la loro rabbia, pur soffrendo. Infatti ancora oggi sono rimasto in ottimi rapporti con molti cuori biancorossi e sento la vicinanza di chi ama il Varese.


Per principio assolvo tutti. Penso che ognuno abbia una coscienza e non mi sento di puntare il dito contro qualcuno. Odio profondamente tante persone ma i loro nomi me li porterò nella tomba.

Tutti, ma proprio tutti, gli uomini che ho allenato mi hanno trasmesso qualcosa. Quindi non sceglierei nessuno perché farei del torto a qualcun altro. Ho avuto la fortuna di allenare delle persone fantastiche. Di questo è testimone il fatto che il mio telefono, continui a squillare. Infatti i miei ex calciatori mi chiamano ancora per chiedermi consigli, nonostante non ci vediamo da un anno e mezzo.


Diciamo che non sono riuscito a raggiungere l’obiettivo che mi ero posto, anche se in cuor mio ero sereno perché avevo fatto tutto quello che era nelle mie possibilità umane. In certi frangenti mi sono proprio sentito don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento. Quindi sconfitto è una parola troppo forte. Ero invece molto amareggiato.


Cito un’altra frase che mi è molto cara: “Io non perdo mai. O vinco o imparo”. E imparerò ancora.