«La benedizione non ci dividerà. Unisce fedi, culture e tradizioni»

Il prevosto Panighetti chiude il dibattito sulle celebrazioni del Natale a scuola: «No alla rivendicazione identitaria: il simbolo non va tolto, ma va spiegato»

Il prevosto di Varese: «Diamo il giusto valore alla benedizione natalizia. Non possiamo farla diventare elemento di divisione tra laici, credenti, cristiani e musulmani». Monsignor fa il punto e chiosa su questa tematica d’attualità, dibattuta in città e non solo. Una questione, quella tra scuola e Chiesa che, per situazioni diverse, da Rozzano alla Sardegna, sta facendo discutere ampiamente. «È un tema che si presta a fraintendimenti – sostiene il sacerdote – È da riportare al suo valore reale. Dal punto di vista della Chiesa, il valore è quello di proporre una possibilità di incontro, in occasione del Natale di Gesù, a tutti quelli che lo desiderano, come accade quando si va nelle famiglie, negli uffici, nei negozi o negli edifici pubblici».

Chiaramente deve essere fatto «secondo una prassi corretta che diventa rispettosa di tutti. Nell’ambito di un ambiente specifico come quello della scuola, una decisione come questa potrebbe essere di competenza degli organi collegiali». In qualunque caso per monsignor Panighetti è un gesto che non deve dividere, ma può unire. «Al di là del valore che ha di per sé, vivere la benedizione potrebbe significare per i credenti il recupero di un momento significativo e, per chi non condivide la fede cristiana, quello per pensare a cosa significhi nella nostra spiritualità, cultura e tradizione il Natale. È un dato che vale per tutti». Una possibilità di inclusione e non di esclusione. «Il capire cosa implichi questa festività è un’occasione per chi è originario e anche per chi viene da fuori per cogliere il valore di una festa come il Natale, che raccoglie in sé sentimenti e valori condivisibili perché universali».

Don Luigi, riflettendo sulla vicenda della scuola di Rozzano, dice: «Mi sembra interessante rilevare che, in quella vicenda, sia stato dato più valore a quanto detto in prima battuta dai media, quando, a quanto pare, le famiglie pensino quelle musulmane non avevano problema rispetto a quanto fatto finora».È facile, però, uscire dal seminato in una questione del genere. «D’altra parte forse è giusto che questo aspetto spirituale e culturale venga distinto da una sorta di strutturazione di una “religione

civile” che diventa una forma non corretta di identità». «Non possiamo far diventare la questione benedizioni uno degli elementi che necessariamente dividono laici, credenti, cristiani e musulmani. In un questo modo è interpretata male e diventa quasi una forma di rivendicazione identitaria, ma è limitativa. Non ne dice più il reale senso: quello di un incontro tra le persone e con Dio». Il dialogo è la chiave per affrontare la questione. «Nell’ambito di una società plurale, nella quale ci sono confronto e dialettica che devono essere ricchi e fecondi, la strada non è quella di togliere un simbolo, ma di spiegarlo. L’interazione passa attraverso la proposta costruttiva di dialogo e di comunicazione che non nascondano le identità in gioco. Il laicismo alla francese, che punta ad eliminare qualunque segno, impoverisce. Non è rinunciando a un simbolo che si rende più semplice il dialogo». Il prevosto torna così a sottolineare, come all’inizio del suo mandato, l’importanza delle relazioni. Il confronto non è una via semplice, ma può portare risultati a lungo termine.