La grande storia di Varese. Nelle poesie di un velatese

Emilio Bortoluzzi nel suo ultimo libro intreccia vicende personali con quelle legate alla nostra città

Un libro di poesie – il decimo -, nuovo appuntamento con la Vita alle soglie dei 96 anni. Sono i figli Elisa, Alberto e Chiara, a introdurre Emilio Bortoluzzi, velatese, classe 1921, con il volume “Fuori scala” lo scorso sabato allo Spazio Gruppo Trenta. Sorride l’Autore: «Alla mia età potrebbe trattarsi di vaneggiamenti onirici», pensando alla frontiera dei cento anni, raggiunta grazie al gene della longevità e all’allenamento quotidiano «nella palestra dello scrivere».

Cinquanta poesie che inquadrano decenni di memorie: i più lontani risalgono all’epoca in cui Varese in guerra era sotto occupazione tedesca: emozioni catturate dalla brevità delle storie e delle vite, riflessioni di un giovane di fronte alla gravità di una guerra che coinvolge giovani reclute anche sul fronte opposto. Il capopattuglia mitragliato davanti ai Miogni, la frenesia dello scavo per dissotterrare armi dietro la Chiesa della Motta, il rumore del cingolato che spunta dietro la Caserma Garibaldi, il partigiano Comolli figlio del postino: ogni pagina un diverso capitolo «di filosofia della vita, e della non vita, con una nota di tristezza che vi vorrei risparmiare», si schermisce il Professore.

Primo anestesista universitario all’Ospedale di Circolo, in un’epoca in cui in sala operatoria erano le Suore a svolgere questo delicato compito, negli anni ’50 il Prof. Bortoluzzi creò dal nulla il Centro di Rianimazione strutturando ruoli di responsabilità e una organizzazione moderna destinata a servire centinaia di migliaia di pazienti in quarant’anni di servizio.

La professione, destino intrecciato a quello della famiglia: proprio in sala operatoria, Emilio conosce Silvana, giovane tirocinante in anestesiologia, che diverrà sua moglie. Dice il figlio Alberto: «Una vita durissima, il personale mancava e i letti erano molti più di adesso; spesso di notte i miei genitori erano di guardia in ospedale.

Ancora oggi, a venticinque anni dal pensionamento, mio padre viene ricordato da pazienti e collaboratori per la grande disciplina e serietà». «Integrità e senso critico – aggiunge la figlia Elisa – sono tratti fondamentali della personalità di mio padre uomo e scrittore, che trovano espressione nel perfezionismo con cui scrive e riscrive anche decine di volte una poesia. Uniti alla grande volontà di aprirsi agli altri, alla semplicità di uno sguardo rivolto alle persone, ai familiari, agli aspetti minimi della realtà».

È la volta di liriche che accompagnano la soddisfazione per una famiglia che negli anni aumenta, vera ricchezza da coltivare e preservare, sullo sfondo di una Varese contrapposta tra quello che è e quello che si desidererebbe che fosse: i negozi del centro, la nostalgia del Caffè Pini di una volta, con i suoi pochi avventori tra cui a volte Piero Chiara, il garbo stentato dell’accoglienza nelle caffetterie di Piazza Montegrappa, non meritevoli neppure di una mancia.

Altri scorci fotografano angoli di Milano, o momenti dedicati alla musica, altra grande passione. «Da quando è in pensione, mio padre ha intensificato il suo rapporto con le lettere, trascorrendo molto tempo in una stanza tutta sua, ma soprattutto è il nonno meraviglioso dei suoi nipoti Pietro e Valeria”, dice Alberto. “Il mio sogno sarebbe vedere i giovani ritornare ad amare la poesia”, sfida il professore».

«Ci stiamo provando, nelle scuole, come docenti. È un valore non deve andare perduto», interviene la figlia Chiara, palesando un’altra dote trasmessa geneticamente: la caparbietà.