“L’aquila di Filottrano” spiccò il volo nel 2002

Nel suo palmares tre tappe al Giro e quella vittoria nella generale del 2011, mai davvero ostentata

Era un campione, Michele Scarponi. Di quelli con la faccia sporca, corrosa e incenerita dalla fatica della salita, il gregario a cui Vincenzo Nibali deve gran parte dei suoi successi. Di suo, aveva vinto un Giro d’Italia nel 2011 a seguito della squalifica di Contador, e in questo 2017 si presentava alla corsa rosa nuovamente da capitano, dopo tantissimi anni trascorsi a difendere altri capitani.

Sarebbe stato il giusto premio ad una bellissima carriera, da scalatore vero, uno dei più forti e continui nel panorama ciclistico italiano. Il destino, cinico e beffardo, gli ha voltato le spalle e ha sconvolto tutto il mondo delle due ruote, che vedeva in Scarponi un esempio, un personaggio unico ed inimitabile.

Michele Scarponi è morto ieri mattina, a 37 anni, mentre si allenava a Filottrano, sulle strade di casa sua in vista della corsa rosa del centenario a cui mancavano solo pochi giorni. Sorriso guascone, sempre presente sul suo volto, un’ironia ed una naturalezza difficili da ritrovare in un ambito professionistico. Sembrava fuori dal tempo con quel viso scavato dalla fatica, dal sole, dalle montagne. Lo trovavi sorridente e positivo anche nei momenti più complessi, dopo una sconfitta, perché era fatto così e nemmeno la televisione era capace di ingannare o mascherare la sua vera natura. Un “contaminatore di sorrisi”, come lo definisce Ivan Basso.

La sua ultima vittoria è incredibilmente recente, ottenuta lunedì nella prima tappa del Tour of the Alps con arrivo ad Innsbruck: aveva alzato le braccia al cielo per la prima volta dopo 4 anni, aveva regalato ai due figli Tommaso e Giacomo la maglia di leader della corsa conquistata proprio in quel giorno. Ha fatto un po’ tutto nella sua carriera, ha vinto e si è messo al servizio dei suoi compagni. Classe 1979, ha ottenuto il suo primo grande successo nel 1997, diventando campione italiano juniores. Cresce tra i dilettanti nella Zalf, così come Ivan Basso, e diventa professionista nel 2002 con l’Acqua&Sapone. Nei suoi primi anni di carriera riesce già a vincere qualche tappa tra la Coppi&Bartali e la Settimana Ciclistica Lombarda.

Non ha mai vinto quanto avrebbe meritato, ma nel suo palmarés ci sono tre tappe al Giro d’Italia, tra il 2009 ed il 2010, quando vinse all’Aprica nel giorno in cui Basso si vestì di rosa conquistando il secondo Giro della sua carriera.

Poi c’è quel 2011, tanto strano quanto vincente, in cui porta a casa la classifica generale della Vuelta a Catalunya, della Tirreno-Adriatico e anche del Giro d’Italia, una vittoria mai ostentata in quanto giunta dopo la squalifica di Alberto Contador. È la sua prima stagione in maglia Lampre, un’esperienza che chiude nel 2013 per passare al Team Astana. Divenne un gregario con la gamba di un capitano, un campione che si mette a disposizione di Vincenzo Nibali: è al suo fianco quando lo Squalo vince il Tour de France nel 2014 ed il Giro d’Italia nel 2016.

Lo trovi sempre davanti a soffrire, a sbuffare, a menare forte, a sfiancare la resistenza degli avversari per aprire la strada al suo capitano. Quest’anno sarebbe stato il suo turno, a 37 anni si sarebbe rimesso in gioco con i galloni di capitano. In salita, volava, fin dagli inizi della sua carriera, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Aquila di Filottrano”. E proprio a Filottrano, dove aveva spiccato il volo, le sue ali si sono chiuse troppo presto, nel giorno più triste.