Night a luci rosse Stangata per i gestori

Sesso e divise: chiuso il primo stralcio dell’operazione Blue Night. Condanne pesantissime per i gestori di uno dei locali coinvolti nel gran giro di prostituzione smantellato nel 2005.

I pubblici ministeri Agostino Abate e Sara Arduini avevano già mandato a processo carabinieri e agenti della polizia penitenziaria. Ora ecco la sentenza esemplare pronunciata dal presidente di collegio Anna Azzena ha condannato Ignazio e Doriana Floris a 8 anni di carcere, Entico Floris a 5 anni e sei mesi e Gaetano Amodio a 4 anni e sei mesi.

I tre fratelli Floris erano i titolari di uno dei night chiusi durante l’operazione: il club Italia 90 di Varese. Amodio era invece il direttore artistico del locale.

Tutti e quattro gli imputati erano accusati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, Ignazio e Doriano Floris rispondevano anche dell’accusa di violenza sessuale su una 30enne che nel locale lavorava. La violenza, consumata proprio all’interno del club, risalirebbe al novembre 2000: la donna nel frattempo però è è deceduta per malattia e non ha mai reso testimonianza in sede dibattimentale.

Per lei hanno fatto fede i verbali: gli uomini della Digos di Varese hanno infatti lavorato in maniera certosina alle indagini. La ragazza aveva dichiarato di essere stata violentata dai due fratelli Floris: entrambi ne avrebbero abusato.

Dalle indagini era invece emerso che nel club si chiudeva un occhio, anzi si compiaceva la prostituzione. Ballerine e sedicenti cameriere venivano spronate, secondo la procura, a concedersi ai clienti in cambio di denaro. Con l’incasso che finiva regolarmente nelle tasche dei gestori.

Un giro di sesso dietro ai separè, innaffiato da champagne e liquori, che sarebbe andato avanti dal 1999 al 2004. L’indagine poi avviata dalla procura ha posto fine al paese del bengodi.

La sentenza ha lasciato amareggiati i difensori degli imputati Matteo Pelli e Corrado Viazzo, i quali hanno già detto di essere pronti, tra 30 giorni quando saranno depositate le motivazioni della sentenza, a presentare ricorso in appello.

Tra le contestazioni sollevate soprattutto il fatto che la vittima dello stupro, deceduta, non ha mai reso testimonianza durante il processo, contravvenendo alla norma in base alla quale la prova si forma in sede di dibattimento.

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