Non si sputa sul re nudo E la storia non si cancella

Andrea Confalonieri commenta la vicenda Rosati-Montemurro e il dibattito che ne è scaturito

Moralisti e flagellatori da strapazzo: quando il re è nudo, vanno all’attacco. Ma dov’erano prima? Fanno la guerra e sputano a Montemurro adesso che è in galera e non alzavano un dito per muovere pubblicamente una critica, tranne qualche eccezione (compresa “La Provincia”), mentre era al potere e faceva male al Varese e a Varese. Chi si fidava portandolo in palmo di mano dovrebbe vergognarsi molto più di Enzo Montemurro che, in fondo, è sempre stato quel che è: erano tutti gli altri a doversi smarcare e a dover capire, invece i fiancheggiatori e gli amici dovrebbero fiancheggiarlo e mostrare amicizia proprio ora che è caduto, restando coerenti come lo siamo noi, dicendo: ci auguriamo giustizia ma non auguriamo la galera a nessuno, e soprattutto non auguriamo di soffrire così a parenti e figli che non c’entrano nulla.

Prendiamo Antonio Rosati: dal 2008 al 2013 abbiamo udito sparute critiche al presidente, sommerse dai ben più numerosi complimenti, anche ad altissimi livelli. Ricordiamo i cori della curva dopo il suo sbarco al Genoa vissuto come un tradimento («Rosati, Rosati, vaffa.»), le scritte allo stadio (“Rosati infame, Montemurro vattene”) e i volantini con cui i pensionati biancorossi e le poche persone che hanno veramente sofferto per colpa dell’ex amministratore delegato, osteggiandolo con coraggio, irridevano il superiore Rosati («Sei arrivato in Cinquecento, te ne vai in Mercedes»). A parte loro, dov’erano tutti gli altri che ora s’indignano e additano, puntando il dito?

Oggi non spetta a noi giudicare il bene e il male di Rosati e Montemurro, c’è una giustizia suprema e c’è in ballo la vita delle persone, soprattutto dei familiari: perché vigliaccamente insultare chi per il momento non può aprire bocca per difendersi?

Parlerà la giustizia ma non potrà riscrivere la storia del Varese o cancellare Rosati in trionfo davanti a settemila varesini il 13 giugno 2010 per il ritorno in serie B dopo 24 anni e una cavalcata dall’ultimo posto della C2. Amato, discusso, odiato (col senno del poi, è facile odiare chi si era amato), resterà il presidente della scalata al grande calcio, piaccia o non piaccia. Come Antonio Sibilia rimarrà il padre padrone dell’Avellino in serie A nonostante i guai giudiziari.

Ps: in realtà la città è sconvolta, più che altro, dall’arresto di Bruno Limido. Lui, sì, amato indiscutibilmente da tifosi di ogni età e censo. E anche questa è storia.