Omicidio Faraci Moglie disperata

«Vivevamo in simbiosi, lui era l’elemento forte della nostra coppia. E io non gli avrei mai fatto nulla di male». Melina Aita,

dal carcere femminile di Monza nel quale è reclusa per l’omicidio del marito Antonio Faraci, non si da’ pace, professandosi innocente. Continua a ripeterlo nei colloqui avuti con l’avvocato che la sta difendendo, Cesare Cicorelladel Foro di Busto Arsizio.

Ieri mattina la richiesta di scarcerazione presentata dal legale è stata rigettata: Cicorella farà appello, ma in questo momento prevalgono amarezza e disorientamento: «E’ una donna distrutta dal dolore – dice il legale di Busto – spero per la credibilità del paese in cui vivo e del sistema che il Pm abbia elementi così schiaccianti per giustificare quanto sta accadendo. Stiamo parlando di una persona incensurata, che non ha mai fatto nulla di male a nessuno. Non è corretto giocare a rimpiattino. La difesa è un diritto riconosciuto e il Pm deve condividere gli elementi in possesso. Voglio sperare che il Pm abbia compiuto tutte le verifiche necessarie perchè quello che sta accadendo è assurdo».

Il riferimento è andato anche ai due indagati, accusati di omicidio in concorso, che sono spuntati nelle ultime ore dei quali non si sa nulla: «Non abbiamo alcun elemento – spiega il legale – non sappiamo chi siano e che elementi abbiano a carico. Intanto c’è una donna che molto probabilmente non potrà esserci neppure il giorno in cui gli seppelliranno il marito. Se dovesse succedere, e non ci fossero gli elementi schiaccianti che auspico abbiano, qualcuno dovrà farsi quantomeno un esame morale».

La donna resta in carcere, ma la vicenda è ancora avvolta nel mistero: troppi elementi, infatti, non sono ancora emersi.

Dopo gli ultimi eventi, cioè l’iscrizione nel registro degli indagati di due individui che dovranno rispondere di omicidio in concorso e l’assenza di macchie di sangue in macchina come certificato dai primi esami, il quadro accusatorio si è modificato.

Visto che la donna resta in carcere, è logico pensare che l’accusa abbia elementi “forti” di presunta colpevolezza. Per l’impianto accusatorio, il fatto che in macchina non siano state trovate macchie di sangue, evidentemente rappresenta un fattore molto secondario all’interno della vicenda. Ma per l’accusa la moglie continua ad avere un ruolo di primo piano nell’omicidio anche se potrebbe non essere l’autrice materiale. «Non può essere la mandante potenziale dell’omicidio – sottolinea l’avvocato Cicorella – se i due assassini avessero agito su mandato, lo avrebbero fatto con altre modalità». Sono ancora tanti i dubbi che si annidano nella storia, le circostanze da chiarire tantissime, ma per il momento una delle poche certezze è che la pensionata di 64 anni, Melina Aita, resta in carcere per l’omicidio di suo marito.

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