Omicidio Lidia Macchi, c’è un arresto: «Violentata e uccisa per punirla»

Questa mattina gli uomini della questura hanno fermato Stefano Binda, 47enne di Brebbia, in relazione all’assassinio della giovane scout di Varese. Secondo l’accusa sarebbe lui l’autore della lettera ritrovata nella borsa di Lidia

Omicidio : c’è un arresto. Gli uomini della polizia di Stato di Varese all’alba di questa mattina hanno arrestato , quarantasettenne di Brebbia, in relazione all’omicidio della giovane scout di 20 anni il cui cadavere fu rinvenuto nei boschi del Sass Pinì a Cittiglio il 7 gennaio 1987. L’uomo è stato molto vicino alla famiglia Macchi dopo la morte di Lidia, uccisa con 29 coltellate. Da quasi 30 anni quel delitto, che ancora oggi è

una ferita aperta per Varese, è rimasto avvolto dal mistero. Fu indagato due anni fa anche Giuseppe Piccolomo, il killer della mani mozzate, ma il Dna lo aveva scagionato. Questa mattina la svolta: in manette, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip , su richiesta del sostituto procuratore di Milano Carmen Manfredda (titolare delle indagini dopo l’avocazione del fascicolo) , è finito un quarantasettenne di Brebbia. Sarebbe lui l’autore della lettera intima, non firmata, ritrovata nella borsa di Lidia in quel gennaio del 1987. L’uomo è stato compagno di scuola di Lidia. A quanto pare un’altra donna si sarebbe ricordata di aver ricevuto lettere simili dal quarantasettenne segnalando all’autorità giudiziaria il dettaglio. Il quarantasettenne si trova ora in questura. Sulla busta contenente la lettera c’è il DNA dell’autore. Sarà quindi possibile eseguire un confronto.
Da quanto si è saputo in relazione all’imputazione di omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili, crudeltà, dal nesso teleologico e dalla minorata difesa, Stefano Binda avrebbe costretto la ragazza a un rapporto non consenziente e poi l’avrebbe uccisa a coltellate. L’uomo, laureato in filosofia e docente universitario, ma senza occupazione fissa (a Brebbia abitava con la madre pensionata), sarebbe salito sull’auto della giovane il 5 gennaio 1987 nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio, dove la giovane scout si era recata per fare visita a un’amica.
L’auto con a bordo i due, sempre stando all’ imputazione, avrebbe quindi raggiunto una zona boschiva non lontana e là Binda, secondo l’accusa, avrebbe prima violentato la giovane e poi l’avrebbe punita uccidendola, perché nella sua ottica aveva “violato” il suo “credo religioso” concedendosi. Non è chiaro, nell’ambito delle indagini basate su una serie di indizi, se l’uomo abbia costretto la ragazza a salire in auto con lui nel parcheggio e ad appartarsi vicino al bosco. L’avrebbe, poi, colpita con numerose coltellate prima in macchina e poi mentre cercava di fuggire all’esterno.
I colpi sarebbero stati inferti “alla schiena” e anche a una gamba mentre stava cercando di scappare. Lidia Macchi sarebbe morta per le ferite e per “asfissia” e dopo una lunga agonia. Quest’ultimo passaggio del capo di imputazione, formulato dal sostituto pg di Milano Carmen Manfredda, riprende alcune parole scritte nella misteriosa e inquietante lettera anonima che arrivò il giorno dei funerali alla famiglia Macchi. Lettera che, secondo le nuove indagini, sarebbe stata scritta proprio da Stefano Binda.

:

– Il testo della lettera.
– Le parole della madre di Lidia, Paola Macchi.
– Le dichiarazioni del legale della famiglia Macchi, Daniele Pizzi, che ha dato nuovo impulso alle indagini.