Ottanta idee per la Varese che vorrei Mappa di una città tutta da ripensare

Un’antologia firmata Alberto Lavit, con finalità benefiche, fa parlare la società civile. Dal parco archeologico a Belforte al red carpet dei Giardini, ecco i sogni. O il futuro?

– Una mappa della Varese che non c’è (ancora) scritta attraverso le idee, le voci, le diverse sensibilità dei suoi cittadini.
È l’antologia “La Varese che Vorrei” di edita con finalità benefiche da Lions Club Varese Host con l’associazione Parentesi in collaborazione con la Fondazione Comunitaria del Varesotto.
Ottanta autori lasciati liberi di esprimersi in un contesto non istituzionale, si presentano con nome e cognome, senza curriculum, segno che il valore delle idee conta più di qualsiasi etichetta.

E che l’ispirazione può essere trasmessa in molti modi: che sia un racconto (come quello divertente e riflessivo sul furto della Statua del Garibaldino di Lozza), dialogo immaginario (Tomasotti), poesia (Sardella), disegno (Lazzati e Benzoni), o due parole, come la formula di per una città “- nostalgic + contemporary”.
Di gran pregio i contributi saggistici sulla prospettiva che si costruisce a partire da una visione storica di (la città di Varese), R. Ferrero (piazza Repubblica) e (Stadio e funicolari);

il passato e il futuro disegnato da , autore di uno storico progetto insieme all’architetto Mozzoni ripreso da , e si concentrano sull’idea di governance della città, con ampie riflessioni sul modo di amministrare la città.
“La Varese che vorrei” è anche legata anche alla varesinità: perchè non esiste progetto di città che possa essere realizzato a prescindere dal tessuto sociale cittadino che lo deve poi vivere.
Molti gli autori che vorrebbero dai concittadini una maggiore concretezza, apertura e generosità, ma tutto sommato li assolvono benevolmente (, , , e ); ci sono però voci fuori dal coro come D. Barnaba e le sue implacabili fotografie di paesaggi urbani in bianco e nero che ritraggono il vuoto valoriale della città, e i contributi di e più centrati sulla “Varese che non vorrei”.
Il pezzo forte della collettiva di Lavit sono le decine di progetti onirici o fattibili, rivoluzionari e pratici: segno di cervelli ancora capaci di pensare e proporre nonostante tutto. Concetti e definizioni suggestive guidano le riflessioni sulla Varese ideale, come la piazza dell’uomo (G. Brusa) e la città estesa (P. Zanzi) e persino il Responsabile Comunale della Bellezza di P. Bonacina, fino agli autorevoli trattati su aspetti socio-urbanistici della città (J. Pavesi, E. Ceriani, E. Parravicini, M.Turri, P. Seclì) e il saggio sulle piazze cittadine di .
Articolato ed esaustivo il progetto delle 50 idee per Varese supportate dalle lettura di 50 tra i maggiori saggisti a livello mondiale di , ma anche idee-tassello circoscritte.

Belforte come location di un parco archeologico (), la cantina design vitivinicola ai Ronchi (Marco e Carlo Lavit Nicora), i palazzi ricoperti di vegetazione di L. Del Grossi, il progetto sulle aree dismesse di , il progetto Area 180 per la valorizzazione della Bizzozero universitaria di .
E, ancora, la Varese congressuale di , la Summer Academy artistica di Buzio Negri, il percorso sonoro di Ferrari e Giuntoli, il red carpet al parco di Palazzo Estense di Monti, la città di acqua colori e musica di Gervasini e tante altre voci che compaiono nel libro. E che si spera non restino inascoltate.