Quei nove bimbi della maestra Clara

In uno scatto del 1971 c’è tutta la malinconia per la storica e minuscola scuoletta del Sacro Monte. La signora Belli rimase dietro la cattedra per anni, insegnando a classi miste col sorriso. Che le è rimasto

Nove bimbi sorridenti in posa dietro le minuscole scrivanie, con il grembiulino nero ed il colletto inamidato: è la fotografia un po’ ingiallita di quel 1971, l’anno in cui la scuoletta di Santa Maria del Monte accoglieva l’ultima maestra di ruolo, la giovane Clara Belli.
L’ incarico era molto delicato: una pluriclasse che raggruppava bimbi di età diverse, residenti al borgo di Santa Maria. Alcuni erano fratelli o cugini, e scendevano a scuola a piedi, in gruppetto.

La signora Clara li ricorda ancora tutti per nome: la Maria, la Cristina, il Maurizio, l’Angelo, il Claudio, la Rita, il Mario, il Carlo e l’Enzo. Sorride, e pensa a come sono diventati ora «per esempio la Maria. che era una bella bimba paffutella, e ora è la segretaria degli Amici del Sacro Monte… ma di alcuni invece non ho saputo più nulla».
Scendendo dalla ripida rizzada di via Fincarà, la scuoletta è lì,

adiacente alla cosiddetta Cappella Fallata, l’edificio seicentesco previsto dal Bernascone che non divenne mai Cappella poiché non soddisfaceva i requisiti panoramici e naturalistici che aveva in mente l’architetto.
Il quale non si fece problemi a lasciare l’opera incompiuta, deviando per sempre il tracciato della Via Sacra: da allora, poco sopra il secondo Arco il pellegrino trascura la svolta a sinistra che si ricongiunge con la via Fincarà, e prosegue salendo invece verso la Undicesima Cappella.

Clara Belli è stata l’ultima insegnante della scuola di Santa Maria del Monte: tempi dolci, da libro Cuore

Clara Belli è stata l’ultima insegnante della scuola di Santa Maria del Monte: tempi dolci, da libro Cuore

«Sono nata sotto il campanile di Bosto», dice la signora Clara, «ma risiedevo ai piedi di Santa Maria del Monte, eppure fu solamente quell’anno che imparai a conoscere davvero il Sacro Monte, insieme ai bambini della scuola».
Con i bimbi si studiava natura e territorio attraverso uscite all’aria aperta, seguendo l’andamento della stagione e perlustrando tutti gli angoli del borgo.
Dove risuonavano solo le voci degli scolaretti, «perchè a quei tempi non c’era in giro proprio nessuno, a parte la signora Pierangela, l’ultima custode della Casa Pogliaghi. Eravamo talmente soli che sentivo una grandissima responsabilità, e quando eravamo in classe chiudevo a chiave la porta di ingresso». La lezione non era certo facile: bisognava far lavorare il gruppetto contemporaneamente su cinque programmi diversi e tenere nota di tutto nelle diverse spartizioni sul registro.
«Forse non avevano la stessa prontezza dei bambini di oggi, che hanno a disposizione tanta tecnologia, ma lo studio era più semplice, e quello che imparavano restava in profondità», dice la signora Clara.
«Porto quel ricordo nel cuore: il ’71 fu l’ultimo anno di scuola vera e propria. Dopo quell’anno si andò avanti con insegnanti precarie; poi si decise che i bambini dovevano essere trasferiti a Sant’Ambrogio, perchè, dicevano, mantenere una scuola al borgo era antieconomico».

«Io fui trasferita di ruolo a Fogliaro, altra scuola destinata alla chiusura, e poi alla Canetta di Sant’Ambrogio.
«Dicevano anche che i bambini non socializzavano: la dimensione stessa del borgo, isolato lassù ed un po’ ovattato, non avrebbe mai permesso loro di fare le stesse esperienze dei bambini di città. Ma il gruppetto sperimentava la solidarietà, tutti si aiutavano l’un l’altro, e poi una volta rientrati a casa, il borgo tornava ad essere la loro vita».