Quella bomba nera morta nel silenzio

«Non abbiamo avuto niente: né giustizia né verità. Dopo un anno hanno archiviato tutto. Della morte di mio marito, di quella bomba, non è mai interessato niente a nessuno. Noi siamo dei dimenticati dallo Stato». Augusta Comi parla con la rabbia di chi si è visto strappare la vita senza che nessuno le abbia mai spiegato perché, per colpa di chi. Alle 8 del 28 marzo 1974, esattamente 40 anni fa, una bomba esplodeva sul piazzale del mercato di Varese. Un ordigno ben congegnato: la batteria di un’auto riempita di polvere esplosiva appoggiata al riparo che divide l’area ambulanti dalla ferrovia, dove oggi c’è il blocco dei servizi dell’area.

E dove Vittorio Brusa, florovivaista di 46 anni, aveva la piazzola dalla quale vendeva piante e fiori con la moglie Augusta. «Andava bene – racconta la donna – perché era vicina alla pompa dell’acqua che per noi era fondamentale». La famiglia Brusa oggi ha ancora un banco al mercato nello stesso spiazzo: è il figlio Aurelio, sedicenne nel 1974, che la manda avanti con la moglie. All’epoca lo spiazzo era delimitato da due alberi: oggi ne è rimasto uno soltanto. L’altro è saltato in aria al momento dell’esplosione e non è mai stato sostituito.

Brusa e la moglie erano appena arrivati: «C’era quella cosa che dava fastidio – racconta Comi – Vittorio l’ha presa in mano per spostarla, non avremmo potuto sistemare i fiori altrimenti». Comi tace. Nel momento in cui il marito ha sollevato la vecchia batteria un boato l’ha portato via per sempre. «Le schegge mi hanno travolta – racconta Comi – sapevo che Vittorio era morto, c’era il suo sangue».

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