Salvini non fa parlare Bossi. A Pontida è la fine di un’era

Il fondatore della Lega Nord: «È segno che me ne devo andare». Il raduno passerà alla storia come il primo senza l’intervento del fondatore, che attacca: «Salvini tradisce il nord». Due pagine speciali sul giornale in edicola oggi

Pontida, fine di un’era? Il leader Matteo Salvini accantona Umberto Bossi e non lo fa parlare. Bossi non ci sta: «Segnale che devo andarmene. Salvini? Tradisce il Nord».

Dopo che era stata annunciata come la Pontida del “Sì” al referendum per l’autonomia in Lombardia e in Veneto, era stata trasformata in corsa nella Pontida della riscossa contro il “bavaglio”, dopo che la magistratura ha svuotato le casse del partito. Ma alla fine probabilmente passerà alla storia come la Pontida che ha negato il palco al fondatore Umberto Bossi. Per la prima volta nella storia, visto che l’unico raduno senza il “Vecchio Capo”, quello del 2004,

era stato annullato dopo il malore dell’allora segretario. Una decisione presa direttamente da Salvini. «Ci siamo tutti. Ma nei momenti eccezionali parla uno» la spiegazione del leader. Nonostante l’opinione diversa del governatore lombardo Roberto Maroni: «Mi spiace che Umberto non abbia parlato, perché Pontida è Bossi. Ma è una decisione presa dal segretario. Per me Bossi a Pontida ha sempre diritto di parola, ci mancherebbe». Secondo le ricostruzioni circolate ieri a Pontida, Salvini sarebbe convinto che in questo momento serva compattezza e avrebbe chiesto ai suoi colonnelli di serrare i ranghi, quindi non poteva permettersi qualche imprevedibile dichiarazione di Bossi, che ad esempio lo scorso anno attaccò la svolta nazionale della Lega. Ma la presenza troppo visibile di Bossi avrebbe potuto anche essere un rischio, dopo la condanna per truffa ai danni dello Stato, a cui ha fatto seguito il sequestro dei conti. Il Senatur non l’ha presa bene, dicendosi «abbastanza» arrabbiato per non aver potuto arringare la folla del Pratone. «Salvini mi ha detto che non voleva farmi fischiare – ha fatto sapere Umberto Bossi – ma è un segnale che devo andarmene via». Sarà davvero strappo con il fondatore e, tuttora, presidente del movimento. «Non mi aspetto niente da Salvini. Non mi aspetto niente da uno che ha tradito il Nord» ha commentato. Negando responsabilità sulla vicenda del finanziamento pubblico: «Ma quali responsabilità? – le parole del Senatur – io mica ho preso soldi alla Lega. Il processo è una cosa ordita dai servizi. E poi alla Margherita non hanno bloccato i conti, alla Lega sì». Caso-Bossi a parte, il raduno si è confermato il solito fiume di militanti sul “sacro suolo” di Pontida. Da Varese sono partiti cinque pullman, grazie all’autotassazione dei militanti dopo che anche il conto corrente della segreteria provinciale è stato azzerato in seguito al sequestro cautelativo ordinato dalla Procura di Genova, più una carovana di auto private: almeno 500 i militanti arrivati dalla nostra provincia, con tanti sindaci e amministratori locali presenti. Entusiasmo alle stelle, con una motivazione in più dopo la vicenda del blocco dei fondi che rischia di mettere in ginocchio il movimento in vista delle prossime scadenze elettorali. «Il popolo di Pontida ha tanta forza e un cuore grande grande – il commento del senatore Stefano Candiani – i nostri sorrisi e la nostra determinazione sono la vera risposta a chi cerca di mettere il bavaglio alla voglia di libertà di un Popolo». Il governatore Roberto Maroni, dal palco, ha chiamato tutti all’impegno in vista del referendum del 22 ottobre: «Serve una campagna a tappeto, porta a porta – chiede Maroni – con il voto di milioni di lombardi e veneti, il 23 ottobre io e Zaia saremo a Roma a trattare, per dire che si cambia».

Il leader Matteo Salvini, che ha chiuso la giornata, ha usato parole molto forti. «I pm sono entrati nottetempo nella sede della Lega e hanno ripulito le vostre tasche» l’attacco contro la magistratura. «Andremo avanti anche senza soldi, chiederemo aiuto agli italiani, ma l’anno prossimo saremo a Pontida con una Lega e un centrodestra al governo, con l’Italia che riparte nel nome del lavoro, della sicurezza e soprattutto della democrazia». La Lega non intende fermarsi, anche a costo di lasciare indietro il fondatore: «Parte una lunga marcia per cambiare il Paese».