Stefano Binda era in vacanza a Pragelato? «Ricordo la stanza, ricordo il suo volto»

Un altro testimone racconta di aver visto l’imputato durante il soggiorno organizzato da GS dal 1 al 6 gennaio 1987

«Ricordo questa camera in albergo dove stavamo a chiacchierare sino a tardi. Ricordo il volto di Stefano». Un altro testimone ricorda la presenza di Stefano Binda durante la vacanzina a Pragelato organizzata da Gioventù Studentesca dal 1 al 6 gennaio 1987. Binda accusato di essere l’assassino di Lidia Macchi, uccisa con 29 coltellate nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987 ha sempre detto di trovarsi a Pragelato, lontanissimo dai boschi del Sass Pinì

di Cittiglio dove il cadavere di Lidia fu trovato la mattina del 7 gennaio di 30 anni fa. I partecipanti a quella vacanza nella quasi totalità dei casi hanno dichiarato di non ricordare (e sono passati 30 anni a fronte di decine di partecipanti) se Binda vi fosse o meno. In tre, ad oggi, hanno invece ricordato che Binda era presente confermando l’alibi dell’imputato. Il primo a confermare la presenza di Binda, notato da alcuni perché non sciava (era una settimana bianca) e stava al bar a giocare a carte, fu Gianluca Bacchi Mellin, che in aula cambiò versione (disse di essersi ricordato della presenza di Binda nella camera 212 dell’albergo soltanto dopo essere stato ascoltato dalla polizia giudiziaria) rimediando una denuncia dalla pm Gemma Gualdi. Bacchi Mellini disse anche che la camera dell’hotel che lui stesso divise con Binda aveva cinque letti. E ieri è stata ascoltata una teste che lavorò come cameriera in quell’hotel (oggi mutato) all’epoca dei fatti. Confermando che sì, la camera 212 aveva cinque letti e portando addirittura una fotografia della camera gemella a quella dove Binda sostiene di aver trascorso quella vacanza. Nella 212 c’era no i cinque letti e la finestra là dove i testi, che confermano l’alibi dell’imputato, hanno indicato. Intanto si attende l’esito degli esami scientifici. La Corte ha disposto inoltre una integrazione di perizia, a 60 giorni, su quattro vetrini di resti della vittima rinvenuti nella medicina legale di Varese, per comparare i resti con il dna della vittima e soprattutto con quello dell’imputato. Hanno giurato in aula periti molto noti: il comandante dei Ris colonnello Gianpietro Lago, la antropologa forense Cristina Cattaneo e due capitani dei carabinieri, Alberto Marino ed Elena Pilli.