«Testa bassa e pedalare: avevo fantasia. Che gioia il ’61, è stato il grazie a tutti voi»

La guerra, elettrodomestici che hanno cambiato la vita delle famiglie, la dignità del lavoro in fabbrica. Borghi ha fatto la storia di Varese e della pallacanestro. «Per il basket servirebbe un don di campagna»

Franco Ferraro, caporedattore di Sky Tg24, torna con “Venti domande per me (posson bastare)”. Questa settimana il protagonista di quello che è un omaggio a un uomo che ha fatto la storia è il commendator Giovanni Borghi , (Milano 1910 – Comerio, 25 settembre 1975), fondatore della Ignis e titolare della Emerson. Il cumenda è stato una delle figure di maggiore spicco nel panorama industriale della provincia di Varese.

Troppo buono. È che io ho sempre avuto la testa dura. Ho sempre fatto le cose in cui credevo. E lo sport era il grande amore della mia vita, insieme alla mia famiglia. Anche se tutto è partito dal mio lavoro. Quando arrivai a Comerio avevo 33 anni. Un giuanott cresciuto a Milano e sfollato in provincia. L’era mia la me’ Milan, ma ho sentito crescere presto il legame con il Varesotto, bella terra, terra sana. È come se qui ci fosse un vento che mi spingeva a darmi da fare, a darci sotto, a inventarmi roba nuova, partendo da quei vecchi fornelli elettrici, dalle cucine a legna…

Sì, il fuoco del lavoro (ride ndr). Mica avevo studiato: sono andato a scuola fino a dieci anni, giusto il tempo delle elementari. Ul me maestar me lo diceva quasi tutti i giorni: «Giuanin, te diventerai qualcuno….ma comincia a imparare un mestiere: è la cosa più importante. Quando questa guerra finirà i primi a guardare il futuro saranno gli artigiani. Dammi retta….». Il mio papà era ovviamente d’accordo. Anche se non gli sarebbe dispiaciuto vedermi dottore o ingegnere…..

Sa che un po’ ha ragione: ho inventato il frigorifero a doppia porta con il freezer, la lavatrice con la carica dall’alto, sono stato il primo a fabbricare la macchina per fare il ghiaccio. Ho sempre pensato che noi italiani non eravamo secondi a nessuno in quanto a ingegno. E mi sono detto che quello che avevo io, e guardi che ne avevo un bel po’, dovevo sfruttarlo. E così ho cominciato: testa bassa e pedalare…. Ce l’ho fatta perché avevo fantasia, ma se non avessi avuto anche coraggio e caparbietà non avrei realizzato nulla….

Ma no! È che il mio cervello andava a mille, come il Maspes quando pedalava arrabbiato. Facevo girare le rotelline come quelle della bicicletta. In quei tempi lì, gli anni del miracolo economico, bisognava capire che cosa serviva alla gente, che cominciava ad avere un po’ di soldini in tasca e voleva spenderli. Ma per cose utili. Ecco, io ragionavo sulle cose utili. Le cose essenziali per una famiglia che usciva dagli anni bui della guerra: anni di fame, di sacrifici, di privazioni. Non era facile capire come realizzare le cose necessarie. E quindi avevo la testa sui pedali… (Ride ancora, ndr). Forse per questo amavo così tanto il ciclismo. Sa che alla Cassinetta andavo in giro con la bici?

Mi piaceva. Pedalavo da uno stabilimento all’altro, mi fermavo, parlavo con i miei dipendenti: grandi lavoratori sa, mica come adesso: vedo in giro dei lavativi. Il lavoro è una roba che nobilita. E questi lavativi invece van mia ben: perché non rispettano chi glielo dà il lavoro, e soprattutto quei milioni di persone che il lavoro non ce l’hanno. E purtroppo vedo che sono sempre di più oggi. Il lavoro dà dignità. In quegli anni là lo capivano tutti. Adesso…..

Che bella squadra! Quante soddisfazioni! Mi sembra ieri che vedevo giocare il Gavagnin, il Maggetti, Zorzi, Vianello, e che gioia quel primo scudetto del ’61! Per me, per Varese. In quel momento lì ho sentito che avevo trovato un altro modo per dire grazie a questo pezzo di Lombardia che mi ha voluto bene fin da subito. Davo lavoro e davo gioia sportiva: un bel duetto. E poi a me piaceva conoscere gente e quegli anni mi hanno fatto conoscere dei campioni che erano anche uomini in gamba. Italiani e stranieri. Se ci penso adesso mi sembra un film…

Sa l’è? Non capisco.

Ah, ecco. Infatti quando l’ho saputo non ci volevo credere. Io son sempre stato uno normale. Una roba così su di me, mah: non sono mica un eroe. Ho fatto il mio dovere: per la mia famiglia, per Varese e per l’Italia. Credo che abbiano girato stà, come l’ha chiamata lei, perché in fondo ero anche un personaggio, o almeno dicevano che lo ero. Anche se credo che decisivo sia stato il successo della mia azienda sul piano industriale e su quello sportivo. Altrimenti mica l’avrebbero fatto uno sceneggiato 60 anni dopo…

Non avrei mai pensato che se ne sarebbe parlato così a lungo. Al ma scusa: che cosa c’era di strano? Se lei deve comprare qualcosa di cui non conosce il prezzo, che fa, non chiede? Poi una volta che lo sa decide se comprare o no…

Infatti: il prezzo di una lavastoviglie è quello. Quello di un giocatore si può trattare. Anche perché allora quasi tutti volevano venire a giocare a Varese. E quindi si doveva fare mercato anche su quello. Poi io avevo vicino a me dei grandi collaboratori, gente che sapeva il valore di questo o quel giocatore. Bisognava pagarli il giusto, i soldi mica si buttano dalla finestra: guardi che me li sono sempre sudati… Però abbiamo comprato dei grandi campioni.

Si ricorda il Flaborea, il Kimball, poi McKenzie. Ma il Raga se lo ricorda? Quando tirava restava in aria e non scendeva più .Un messicano a Varese, ma quando mai….E poi quando arrivò il Morse? Che giocatore era? Non sbagliava mai. Con quell’aria per bene, quella faccetta buona: ma sul parquet era una cosa tremenda. In testa aveva il radar per il canestro…..Però a questo punto devo dirle una cosa a cui tengo molto….

Porto nel cuore grandi campioni venuti da fuori, ma si è vinto tantissimo anche per i varesini che avevo in squadra: l’Aldino Ossola, il Bulgheroni, il Dodo Rusconi. Vede, ancora una volta Varese con lo spirito vincente. C’era un bel vivaio, un entusiasmo enorme, una passione che si palpava in tutta la città. Ogni tanto, ripensandoci, mi dico che era quasi una religione…..

Allora è un prete della pallacanestro! (Ride, ndr). Mi sa che adesso per la squadra ci vorrebbe un bel parroco di montagna, quelli di una volta, che se era necessario tiravano qualche ceffone, insomma che avevano e facevano sentire l’autorità…

Si, ma distrattamente. L’unica cosa che ho notato e che mi ha sorpreso è che era pieno di stranieri, quasi tutti stranieri. Ma che fine hanno fatto i giocatori italiani? E’ passata l’asfaltatrice sui vivai? Bisogna puntare sui giovani, altrimenti si perde l’identità. Guardo una partita ogni tanto anche perché (abbassa un po’ la voce, ndr) qui guardano tutti il calcio. Ma guardi che anche nel calcio mi sembra che son tutti stranieri. Ai tempi del mio Varese c’eran di quei giocatori italiani che facevano faville……Comunque, qui in Paradiso il basket non piace a tanti della mia compagnia….

Bella questa! Non la conoscevo! Adesso me la scrivo e poi me la rivendo con gli amici. Qui il clima è bello, mica possiamo lamentarci, però ogni tanto io mi annoio. C’è poco da fare… Gli altri stanno ore e ore sull’internet, che mi sembra una roba intelligente. Se fossi ancora giù un investimento ce lo farei…..Io preferisco guardare il panorama: è uno spettacolo. Anche se ogni tanto vedo cose che mi stringono il cuore, come la strage a Parigi. Ma come si può essere così cattivi? Tutti quei ragazzi belli che son morti così… no, no, troppo dolore…. la vita è sacra: si difende, mica si toglie…Ancora non mi ha detto dove va questa intervista, per quale giornale è?

Certo! Ogni tanto la leggo: al ma pias. È un giornale fresco. E mi sembra molto attaccato al territorio. Ci sono un sacco di opinioni. Mi piace questa cosa: è uno stimolo continuo. Così la mente viene seminata e lavora. È troppo importante riflettere. E poi vedo che racconta bene lo sport. A tutti i livelli. Chissà quanta gente ci lavora…..

Ma lei è praticamente un ragazzo! Alla sua età ero una forza della natura. Sarà mica uno di quelli che la menano con la tiritera: «Ormai sono un vecchio…». In fondo non son mica passati tanti anni da quella partita là…..

La finale dell’ultimo scudetto. Guardi che l’ho sentita la sua telecronaca. Mi ha fatto divertire e anche un po’ emozionare. E io non mi emoziono mica tanto facilmente. E poi com’era quella roba che ha detto alla fine della partita? Ce l’aveva con tutti quelli che non credevano che Varese avrebbe vinto lo scudetto, com’è che li chiamava? I soloni….Com’era quella frase? Parlava di una qualche Elisabetta….

Ecco, era questa. Ha fatto bene: vedevo anche da qui certi menagrami. Ma erano pochi, sempre i soliti. Quelli lì mica amano Varese e la squadra: devono sempre criticare e fare i fenomeni. Quelli che sanno tutto loro e non gli va mai bene niente. Ne ho trovati nella mia vita di imprenditore e di sportivo, ma non me ne curavo. Tanto avevo ragione io….

E allora? Cosa facciamo? Molliamo tutto? Niente più basket a Varese? Ma si rende conto: Varese senza basket è come il Maspes senza bici, il Mazzinghi senza pugno: l’è mia pussibil. Vedo che ci sono alcuni imprenditori che insistono ed è bello. Bisogna crederci, andare avanti perché io lo so, prima o poi rivinciamo lo scudetto. Ne sono certo. E magari la telecronaca del prossimo scudetto la farà ancora lei…..

Ancora! Ma la vuole finire! C’ha ancora un sacco di roba da fare e tempo ne ha tanto… E poi non è mica così brutto invecchiare. Si guarda la vita in un modo diverso. Si diventa migliori, credo. E anche più buoni. Buoni eh, mica rimbambiti…

Si. Prenda una bici e faccia un giro alla Cassinetta. E poi a Varese. So che tante cose sono cambiate… Si guardi un po’ in giro. Poi mi racconta. E mi saluti tutti i miei ragazzi della Ignis, quelli che vede: hanno un bel po’ di capelli bianchi. Ma per me sono ancora in pantaloncini e canotta. Per sempre giovani….