Viaggio nel Minigolf diventato discarica

La storica struttura a due passi dalla piscina, chiusa ormai da 10 mesi, versa in condizioni vergognose. Il cancello è aperto e chiunque può entrare. Il risultato? Bivacchi, sporcizia. Ma non doveva ripartire?

– La speranza iniziale era che mazze, palline, buche e bevande fresche fossero pronte per il periodo Expo «così da attirare qualche turista in più». Successivamente si era ripiegato su obbiettivi meno pretenziosi: via d’estate con il campo, per sfruttare la bella stagione, e a settembre con il bar, il più bisognoso di un restyling.
Si era partiti con l’idea di ridare alla città uno dei diversivi più amati dai suoi abitanti e si è arrivati a oggi, frangente in cui il Minigolf dei Giardini Estensi non è altro che un pericoloso rudere in pieno centro. Un bene pubblico sporco, fatiscente, maleodorante, alla piena mercé delle intemperie, probabile bivacco per disperati.

Accedere alla vergogna non è impresa da reporter senza scrupoli. Basta semplicemente andare in via Sant’Antonio e tagliare il flusso delle automobili e la vita delle persone che scorre lungo una delle strade più trafficate di Varese, chiedendosi – magari, per un attimo, distrattamente – quale sia il destino di un luogo dove tutti, davvero tutti, almeno una volta hanno messo piede.
Il cancello pedonale è chiuso con il lucchetto, quello carrabile – lontano nemmeno 100 metri –

è invece spalancato, perché di servizio sulla curata – quella sì – area riservata agli amici a quattro zampe. Peccato che lo stesso sia anche la porta aperta su un mondo ormai abbandonato e in completo disuso, un posto pubblico destinato, tuttavia, ad essere gestito da privati: permettervi l’accesso indiscriminato non pare l’idea più geniale del millennio.
Le conseguenze si percepiscono immediatamente. Dopo una breve salita a piedi si giunge nei pressi del bar che sovrasta il campo: il biglietto da visita è una finestra con il vetro rotto, i cui cocci sono sparpagliati sia all’interno che all’esterno del locale. «Sono stati dei ladri», scrissero i giornali ad aprile. I maldestri delinquenti non si sono accorti, però, che basta far scorrere una delle vetrate adiacenti per entrare senza alcuna difficoltà nella struttura: il dislivello da scavalcare è alla portata di un bambino.
Dentro il locale è vuoto, c’è terriccio e sporcizia. Il pavimento è semi-allagato dal temporale appena abbattutosi sulla città e ci sono segni di una presenza umana recente: macchie sul bancone d’acciaio, alcune bottiglie vuote, una stecca (o un lungo punteruolo) poggiato su uno scaffale. Nel cucinino pendono fili elettrici scoperti, una bombola di gas – vuota o piena non si sa – è a disposizione degli avventurieri, i muri – in particolare quelli di un altro piccolo stanzino – sono impregnati dall’acqua che cade ovunque, marciti forse irrimediabilmente. Sembra impossibile immaginare ora un’attività funzionante: eppure sono passati solo dieci mesi dalla chiusura.

Torniamo all’esterno. Le porte delle due dependance sono allo stesso modo senza vincoli: la prima dà su un bagno fetido e zozzo, inequivocabilmente usato da poco; la seconda è il varco all’ex magazzino, popolato da ragnatele e da un contatore dell’energia elettrica di ultima generazione su cui lampeggia una luce rossa. Appena fuori c’è una vecchia scala in legno, accanto a essa compare un test di gravidanza utilizzato e gettato per terra.
Due scalini e si accede al campo, in un contorno di cartacce, bottigliette e bicchieri vuoti. Le diciotto buche risentono degli anni, hanno le piste crepate e sporche, pozze ricolme di pioggia ed erbacce le cingono e completano il quadro. L’ultima chicca, o forse l’ultimo oggetto che ti aspetteresti di trovare su un percorso di minigolf, è una pentola, di quelle che si usano per cuocere la pasta: giace vicino a una delle buche, paradosso finale di un contesto che confina – da capo a piedi – con l’irrealtà.
È la geografia che ti riporta coi piedi per terra: Palazzo Estense, proprietario del tutto, dista qualche centinaio di metri in linea d’aria da qui.