Ja hem votat. «Cos’è la Catalogna? Identità»

Il varesino Matteo Gelmi, catalano d’adozione, racconta la storica giornata. Tra violenze e orgoglio. «Anni di pacifiche richieste di ascolto, e da Madrid sempre muro. Hanno umiliato una regione, un popolo»

Tristezza. Anzi no, amarezza. Anzi peggio, rabbia. Anzi a dirla tutta, vergogna. I poliziotti in assetto da guerriglia e i volti degli anziani coperti di sangue. Le famiglie accampate nelle scuole e i proiettili di gomma. Le file ordinate di centinaia, migliaia di persone che chiedono di mettere una crocetta su un foglio e le camionette che scaricano divise per strada. No, forse il mondo non può capire. Ma di certo ha gli occhi per vedere. E nell’epoca dei social network e dell’informazione in tempo reale le immagini di ieri in Catalogna sono già storia.

, 40 anni, è nato e cresciuto a Solbiate Arno. Dal 2001 vive, lavora, paga le tasse in Catalogna. Terra che gli ha dato un amore, Silvia, che è diventata sua moglie e madre dei suoi bambini. È tuttora cittadino italiano, non può votare in Spagna ma la sua vita è là. Una bella fetta del suo passato, il suo presente e il suo futuro sono là. Insomma, di fatto è catalano. Poche storie.

Da Premià de Mar, cittadina a una manciata di chilometri da Barcellona, ci racconta di «amici impauriti barricati dentro i seggi elettorali con la polizia che sfonda le vetrate». Ci parla di tam tam grazie ai quali «ci si avvisa sui movimenti della polizia e si agisce di conseguenza, facendo sparire le schede e mettendo al sicuro la gente che vuole votare». Ci descrive «centinaia di persone in coda, la cui volontà è più forte della paura che da un momento all’altro arrivi una carica». E ripete incessantemente una sola parola: identità. La chiave di tutto.

Nì. Sono sicuramente contro una dichiarazione unilaterale di indipendenza perché vorrebbe dire mettersi contro tutti con nessuno disposto ad essere dalla tua parte: a mio avviso un suicidio politico. Ma è innegabile che questa regione, questo popolo, ha delle esigenze. Delle ragioni che chiede semplicemente che vengano ascoltate.

Attenzione: qui nessuno discrimina nessuno. Quando 16 anni fa sono arrivato qui parlicchiavo lo spagnolo, non sapevo una parola di catalano, ero straniero. Eppure nessuno mi ha mai discriminato. Mai. La Catalogna non è una lingua nostalgica, non è una ripicca. La Catalogna è storia, cultura, economia. È identità. Io stesso sì, mi sento più catalano che spagnolo. Ma non è disprezzo, non vuol dire avercela con qualcuno. Vuol dire riconoscersi in una determinata realtà. E credetemi, all’inizio ero anch’io molto scettico. Poi ho capito.

Ecco, questo è quello che mi preoccupa più di tutto. Ieri si sono violati dei diritti. La Catalogna è stata umiliata davanti agli occhi di tutto il mondo. Siamo d’accordo: il referendum era stato dichiarato incostituzionale. Non avrebbe probabilmente avuto alcun valore. E allora perché militarizzare i seggi per picchiare la gente? Che senso ha? Sono anni, decenni, che Barcellona chiede e Madrid dice no, a prescindere. Mai un’apertura, mai il dialogo. Solo la legge del bastone. Come minimo ci si chiede: perché?

Non esattamente. C’è chi vorrebbe la repubblica catalana, chi considerava il referendum di ieri un colpo di Stato e in mezzo un oceano di posizioni differenti. A dirla tutta, se il referendum fosse stato legale non è nemmeno detto che avrebbe vinto l’indipendenza. Chi ieri voleva votare non voleva solo votare sì, ma voleva esprimersi. Voleva avere voce. È questa la cosa che fa male. Vedere la gente che si metteva in coda pur sapendo di stare rischiando la propria incolumità. Sembrava un film… In alcuni posti la polizia è indietreggiata perché si è trovata davanti un muro immobile di migliaia di persone.

Una tensione surreale. Vi dico una cosa: io ho rispetto per la polizia, non la affronterei mai. Avrei paura a farlo, sono sincero. Ma ieri sono andato alla scuola dei miei figli, sede di seggio. Volevo sentirmi parte di questo movimento, volevo esserci dentro. Perché là in fila ci sono i miei vicini di casa, i miei amici, i miei parenti. E nessuno di loro sta facendo qualcosa di male. Io capisco che questo voto è illegale, ma andare paesino per paesino ad aggredire la gente, a sequestrare le schede, sono cose dell’altro mondo.

Hanno rotto la convivenza, non c’è nessuna giustificazione per quello a cui abbiamo assistito. È una sconfitta della politica, che è stata incapace di parlare e gestire la situazione. Tutto è stato affidato esclusivamente ai giudici e alla polizia. Prima dell’avvento di Rajoy nel parlamento catalano gli indipendentisti erano una manciata e ora hanno la maggioranza assoluta. Giudicate voi.

Adesso è difficile ricomporre. Sono molto deluso, e molto preoccupato. Perché la convivenza tra spagnoli ora sarà tutta da rifondare. La gente ci ha messo l’anima, ha lottato pacificamente per anni, senza mai un incidente, senza mai uno scontro, per chiedere solo di essere ascoltata. E la risposta sono state le botte. Nel País Vasco l’Eta ha tenuto il governo sotto scacco per decenni con il terrorismo, eppure nessuno si è mai sognato di mandare decine di migliaia di poliziotti a militarizzare le strade. La Catalogna è diversa. I catalani sono un popolo che è stato capace di mettere in fila più di un milione di persone mano nella mano lungo 400 chilometri di costa per rivendicare la propria identità. Che ieri è stata presa a pallettoni di gomma in faccia. Serve aggiungere altro?