«Ribolla, pasta e fagioli e quella volte al Bel Sit insieme al Cumenda»

Il cantore del calcio (e del buon cibo) Bruno Pizzul gioca a tutto campo per “Che gusto c’è”

Famoso cantore delle gesta calcistiche italiane e mondiali degli ultimi quarant’anni, nativo di una terra di confine votata alla produzione di un nettare prezioso e dorato, amante dei piaceri della tavola. Il grande giornalista Bruno Pizzul si racconta a La Provincia di Varese: i piaceri del palato, i gusti ereditati dal padre macellaio e i ricordi varesini, tra una partita e una cena al Bel Sit.

In realtà è una fama non meritata: diciamo che sono solo un gran goloso e dunque un appassionato. Chi poi, come il sottoscritto, è nato in Friuli ed è stato – fin da ragazzino – a stretto contatto con il mondo dell’enologia, non può non provare interesse verso il vino. Non sono un esperto, ma un curioso, senza alcuna competenza specifica. Tanto che mi hanno fatto sommelier ad honorem: lei lo sa cosa si dice dei titoli onorifici?

Quello c’è, sicuramente. Interessarsi di vino significa aprire le porte a un mondo suggestivo, che implica qualcosa che va al di là del semplice contenuto di un bicchiere: dietro c’è cultura, storia, curiosità. E aggiungo che un buon calice di vino, assunto con moderazione, è qualcosa di estremamente piacevole: scioglie le lingue e facilità la socializzazione, soprattutto in tempi come i nostri votati all’individualismo.

Da amante dei colli goriziani non posso che definirmi un “bianchista”: la Ribolla Gialla è tra i miei preferiti, seguita dal Friulano, quello che adesso non si può più chiamare Tokaj. Penso che la lite con gli ungheresi arrivata fino alle istituzioni europee abbia fatto tutto sommato il bene di questo vino: la gente ha iniziato a parlarne e ad assaggiarlo sempre di più.

Sono un amante di quelli molto semplici. La pasta e fagioli, per esempio, specialità interessantissima: a pochi chilometri di distanza la sua ricetta cambia e non di poco, così come le tradizioni ad essa sottese. Passando alla carne, mi piacciono i tagli meno nobili, come lo spezzatino e la trippa. E davanti a un bollito posso mollare tutto…

D’altronde mio padre aveva una macelleria e mi sono appassionato così: quando le signore chiedevano le bistecche, alla mia famiglia rimaneva il resto…

È una bella idea dei fratelli Longo, titolari di una ditta di regalistica affermata e desiderosi di concentrarsi – in un affollatissimo panorama di guide – su una specificità assai curiosa. Interrompere un viaggio facendo visita a un buon ristorante – soprattutto quelli che propongono cucina tradizionale – regala un senso di piacevolezza, opposto alla sosta triste e veloce dell’aree di servizio.

Io e diversi colleghi venivamo spesso per il calcio e il basket: erano i tempi del commendator Borghi, che raccolse intorno a sé degli sportivi straordinari e non solo nelle due discipline sopracitate (come dimenticare il pugilato, per esempio?). Nacquero grandi amicizie allora, cementate al Bel Sit di Comerio. Ecco: più che buone mangiate in città, mi ricordo ottime cene nei suoi dintorni.

Ce ne sono tanti, anche molti calciatori. Se penso al vino, però, mi vengono soprattutto in mente Francesco Moser e Jarno Trulli, che sono degli ottimi produttori.

C’è da notare che la percezione verso la cucina e lo stesso vino è cambiata ultimamente nel mondo dello sport: prima si era categorici nel vietare, oggi – fortunatamente – pietanze che vadano oltre al riso bianco e un bicchiere a pasto sono accettati, aumentando conseguenzialmente la cultura di chi pratica. Per restare a Varese e citare un friulano come me, voi avete in città un grande campione che un buon calice di vino non lo rifiuta mai: Paolo Vittori.