Apre la casa rifugio per le donne Ma sui fondi serve ancora aiuto

Ieri, a Villa Recalcati, è stata simbolicamente inaugurata la prima casa rifugio che accoglierà h24 le donne vittime di violenza della provincia.

Il rifugio – che si trova nel Comune di Varese, ma il cui indirizzo che deve rimanere segreto per ragioni di sicurezza – aprirà tra un mese. Quando si troveranno 150mila euro, che è la somma minima per avviarlo.

La Regione nel 2013 ha stanziato 80mila euro per il progetto Minerva (acronimo di Miglioramento Implementazione New Empowerment Rete Varese Antiviolenza).

Di questi fondi, 30mila sono per la casa rifugio, che è stata ricavata in un immobile confiscato alla mafia e ristrutturato grazie a Provincia prefettura, fondazione Cariplo e Fondazione Comunitaria del Varesotto. «Gli aiuti una tantum vanno benissimo, ma servono fondi su cui poter fare una programmazione. Il mio auspicio è che l’Asl inserisca il rifugio nel piano di zona, cosa che consentirebbe di assumere quattro persone» spiega Giovanna Scienza, presidente di Fondazione Morandi, associazione a cui fa capo il progetto del Rifugio. La casa può ospitare dieci donne in quattro camere. Per ognuna di loro, ogni giorno, la fondazione spende 70 euro, per un totale di 700 euro al giorno. Per un mese di attività, il rifugio costa circa 21 mila euro.

Saranno polizia e carabinieri a indirizzare verso il rifugio le donne vittime di maltrattamento e violenza che hanno denunciato il loro aguzzino.

Il fenomeno della violenza domestica è sommerso. Ogni anno le denuncie in provincia di Varese sono circa 120, mentre le donne che si recano nei cinque centri di ascolto della provincia per ricevere sostegno sono tre volte tante.

Dal 1998 al 2012, Eos – unico centro antiviolenza che fa parte della rete dei 16 centri antiviolenza della Regione – ha prestato ascolto a 900 donne maltrattate. I minori presenti sono stati 790. Si stima anche che le violenze all’interno delle relazioni di coppia non vengano denunciate nel 93% dei casi.

«Difficile tracciare un identikit della donna che denuncia – spiega Silvia Carozzo, capo della squadra mobile – Ci sono sì le straniere, ma anche tante italiane. L’età è compresa tra i 20 e i 60 anni. L’estrazione sociale è la più diversa, la violenza non caratterizza le fasce più deboli».

«Si inizia con la violenza psicologica, che può poi sfociare nella violenza economica, che si verifica quando la donna anche se lavora non può spendere neanche un euro – afferma Gabriella Sberviglieri di Eos – Poi c’è la violenza fisica e sessuale».

Ovviamente i dieci posti del rifugio saranno riservati alle situazioni più critiche, a quelle donne che dopo aver denunciato i propri mariti non possono tornare a casa perché rischiano il linciaggio.

La permanenza può durare dalla settimana al mese, tempo in cui le donne verranno aiutate a trovarsi a ricostruire la propria vita. Ieri, per l’inaugurazione virtuale, era presente l’assessore regionale Paola Bulbarelli.

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