L’impresa di padre in figlio? Sì, ma con un piano preciso

L’Univa ha affrontato il tema negli eventi tra Finanza e Scuola di Impresa

Il passaggio da una generazione all’altra in azienda deve essere pianificato per non mettere a rischio la sopravvivenza stessa dell’impresa. Eppure è ancora bassa la propensione da parte degli imprenditori italiani a pianificare il passaggio generazionale: i progetti strutturati di passaggio del testimone tra genitori e figli riguardano oggi solo il 6% delle aziende del nostro Paese, mentre, per un confronto, negli Stati Uniti il dato è, invece, pari al 44%. Oltreoceano si arriva anche a fissare un’età precisa entro cui ritirarsi a vita privata, lasciando l’attività e a farlo sono il 40% degli imprenditori, mentre in Italia a fare una tale programmazione è solo l’11%.

«Il problema non è da poco – spiega l’Unione Industriali di Varese che ha affrontato il tema nel corso del quarto incontro del ciclo Approfondimenti di Finanza e Scuola di Impresa – Soprattutto per un modello d’impresa, quello italiano, fortemente legato al capitalismo familiare e a aziende manifatturiere storiche che di passaggio generazionale in passaggio si giocano il proprio futuro. Uno scenario che nel Varesotto coinvolge non poche realtà. Basti pensare che sono più di 660 quelle che hanno un anno di fondazione antecedente al 1950».

E così esistono veri e propri comportamenti patologici nella relazione famiglia-azienda che, nella fase di successione, rischiano di minare la continuità d’impresa: «Tra questi – hanno spiegato , docente all’Università Liuc e , docente Scuola Alta Formazione Odcec – l’ossessione che tutti i proprietari di capitale debbano assumere ruoli di governo; la vecchia generazione che rimane al vertice sino alla fine; pensare che tutti i figli abbiano il diritto ereditario di lavorare nell’impresa, e magari per forza in direzione, a prescindere dalle attitudini personali; sforzarsi di assicurare a tutti i figli la medesima curva retributiva senza tener conto del ruolo, dell’impegno e dei risultati».

Eppure gli strumenti ci sono, e uno di questi sta nell’applicazione interna di un sistema di pianificazione e controllo di gestione, «inteso come tale – hanno spiegato i due commercialisti alla platea di imprenditori varesini – un insieme di misure volte a orientare i comportamenti delle persone che gestiscono l’impresa».

Rispetto al problema dell’eccessiva personalizzazione da parte dell’imprenditore, un sistema di controllo di gestione permette di perseguire due scopi su tutti: da una parte, si rende evidente il processo di delega decisionale, dall’altra, si pongono le premesse per una valutazione oggettiva del lavoro di ciascun lavoratore.

«Spesso il processo di successione – hanno spiegato gli esperti – può essere facilitato dall’introduzione della figura di un manager esterno». L’impostazione di un corretto sistema di pianificazione e controllo di gestione anche in tema comportamentale, ha aggiunto Marco Crespi di Univa «impatta su tutti gli ambiti della gestione d’impresa, e su quello finanziario in particolare, dove le affinità sono evidenti».