A un amico perso che resta nel cuore. Quando scrivere è un atto doloroso

Ci sono notizie che non si vorrebbero dare. E invece, questa è la parte più brutta del nostro lavoro, vanno comunque date. Verrebbe da dire “è la stampa bellezza”, se non fosse che tra tutte le frasi fatte, anche se veritiera, è tra le più odiose. Un ragazzo che ha perso la vita troppo presto, a 26 anni. Un uomo, sempre giovane, che l’ha persa a 41 anni. Sono le notizie con cui oggi apriamo il giornale.

È in questi casi che il nostro lavoro diventa veramente difficile. Scriviamo i fatti riportando la cronaca nuda e cruda. Cerchiamo di metterci l’anima quando dobbiamo invece tratteggiare la personalità delle persone che se ne sono andate. Il tempo, troppo breve, delle loro vite è ingiusto.

L’ingiustizia di una morte improvvisa è qualcosa di devastante, che non ha parole per essere definita. Perdere un amico per un incidente, o una malattia, è qualcosa che chi non prova sulla propria pelle non potrà mai capire. Se ho scelto di scrivere su un giornale è anche per comunicare cose che vanno oltre la semplice cronaca o le sterili polemiche politiche. Ho perso il mio migliore amico quasi dieci anni fa, dopo che lui aveva lottato per quasi due anni contro un gravissimo male. Scrivo queste parole per ricordarlo. Forse perché glielo devo e non ho altro modo per ripagare la sua preziosa amicizia. Forse perché mi sento in colpa per troppe cose. Per chiedergli forse perdono per tante cose.

E anche adesso che lo ricordo non so se lo sto facendo per lui o per me. E il dubbio mi divora. Ma una cosa è certa. Chi ci lascia continua a vivere in noi. Questa forse è l’unica cosa che posso dire a chi ha perso un amico. Anche se non sarà mai di consolazione. n