Addio Leila. Grande guerriera che non rinuncia ad esser donna

Guerre Stellari non è una delle tante saghe fantascientifiche. C’è sempre stato qualcosa in più, una sorta di ingrediente segreto a renderla un po’ più speciale delle altre.

A prima vista, se si analizza con occhio critico, è difficile cogliere questo ingrediente, che va ricercato nella genuinità della trilogia classica. Forse oggi la saga, se non ci fosse stato alle spalle il suo “mito”, avrebbe avuto sì successo, ma non ai livelli raggiunti. Quel qualcosa in più si trova nella perfetta alchimia con cui vengono mescolati i diversi aspetti: una società futuristica, ma distaccata dalla nostra, lotte che richiamano ad archetipi della civiltà umana proiettate in un futuro che si sviluppa “tanto

tempo fa in una galassia lontana, lontana”. Una perfetta mescolanza tra antichità e futuro, con la sempiterna lotta tra bene e male, lato chiaro e lato oscuro della Forza. Un amico mi aveva detto che il bello della saga era anche vedere come questa lotta avvenisse su due fronti: gli eserciti che si scontravano in enormi battaglie, e un duello alla spada laser in luoghi separati. Il mito cavalleresco che rivive e accompagna l’umanità. Guerre Stellari, nell’immaginario collettivo, non avrebbe avuto la stessa forza senza figure indimenticabili come Luke Skywalker, Dart Fener e senza la principessa Leila (i nomi li scrivo italianizzati per sentimentalismo personale). Il suo sorriso, quello di Carrie Fisher, perfetto archetipo della donna che sa comandare, ottenere rispetto, guidare uomini in battaglia. Senza rinunciare ad essere donna, sorella. Ad amare. Guerre Stellari è nato dal genio di George Lucas, ma a renderlo immortale sono stati anche i volti dei suoi protagonisti. Addio, Leila. Che la Forza sia con te.n