Bentornato “Artiglio” e buon lavoro. Non sarà facile, ma te la sei meritata tutta

L’editoriale

Sulla panchina della Pallacanestro Varese torna un allenatore che ha avuto la pazienza di aspettare una seconda occasione, di quelle che la vita sa donare grazie alla sua indole talvolta benevolmente riparatrice. Attilio Caja non ha atteso sul fiume che passasse il cadavere di un nemico che aveva umiliato la sua buona fede e la sua professionalità: l’esistenza non è vendetta, è opportunità. E allora in quell’acqua che scorreva placida davanti a questo allenatore pavese che ama la città

di Roma e il lavoro che fa da più di vent’anni, lo sguardo in questi due anni ha cercato semplicemente il senso di giustizia smarrito in quella brutta e tarda primavera. Il coach pavese aveva salvato ciò che di sportivamente più importante abbiamo a queste lande, aveva preso in mano Varese e le aveva ridato speranza, risultati, bel gioco ed entusiasmo, colmando con perizia e “savoir faire” il pesante vuoto lasciato dagli addii di Cecco Vescovi e Gianmarco Pozzecco.

La sua pazienza è stata premiata e la riparazione è passata sottoforma di una sfida nuova e, se possibile, ancora più impervia di quella bruscamente interrotta la prima volta. Già una sfida, nessun regalo, nessuno sconto: solo quella maledetta seconda chance – da sudare ogni giorno in palestra – che gli era stata malamente negata da chi si è comportato come un Narciso senza alcun coraggio.

Bentornato “Artiglio”, ma sappi che sarà dura. In questo ritorno c’è tanto da vincere, ma anche qualcosa da perdere. Risollevare la creatura biancorossa e il morale di tutti quelli che ogni giorno grondano passione per lei regalerebbe gloria e onore: sarebbe una favola a lieto fine per i tifosi, per la società, per i giocatori, per Caja stesso.

Non riuscirci, invece, spingerebbe sicuramente qualcuno a “restaurare” la mancata riconferma di due anni fa e a farla “ripassare” dallo spioncino della storia come una scelta giusta. Noi abbiamo una sola, granitica certezza: a Caja, di questo, non frega assolutamente nulla. Lui, nel pomeriggio di ieri, a chi lo ha interpellato per proporgli una nuova avventura, su una panchina che lui ha amato e desiderato anche da eterno avversario, ha risposto semplicemente questo: «Quando si comincia?».

Due parole su chi lascia, Paolo Moretti, un altro professionista che ha messo tutto se stesso per la causa di una passione chiamata Pallacanestro Varese. Non è andata bene: nella mente scorrono le immagini di un anno e mezzo perdente, intervallato da due mesi positivi valsi una finale europea che rimarrà sempre un merito da ascrivergli (capace, com’è stata, di rinverdire emozioni perse nei lustri e di compattare – anche se solo per due sere – l’amore di una piazza intera). Prima e dopo, tuttavia, il film dice altro: sconfitte (anzi, imbarcate), atleti cambiati come figurine, incomprensioni. Ad essere esonerato è un sognatore troppo innamorato dei suoi sogni, talmente granitici da diventare scarsamente malleabili, quasi egoisti. Varese, ora, ha bisogno di realtà. E ha soprattutto bisogno di tornare a riassaporare il gusto pieno della serenità e delle vittorie: negli ultimi due mesi sono mancate un po’ come l’aria.