Cari politici, la violenza si condanna senza i “ma…”

L’editoriale del direttore Francesco Caielli

Il fatto. Un’ausiliaria della sosta (con apostrofo, quindi donna) fa una contravvenzione a un automobilista (senza apostrofo, quindi uomo) reo di aver parcheggiato là dove non avrebbe potuto. L’automobilista si incazza, protesta, sbraita, insulta. E poi mena le mani beccandosi una denuncia per resistenza e violenza a pubblico ufficiale e lesioni.

Il seguito. Il centrosinistra accusa: colpa dei cattivi maestri (le opposizioni? I giornali?) che con le loro critiche al piano sosta fomentano la violenza. L’opposizione ribatte: vergogna, in realtà la colpa è vostra che state esasperando i cittadini.

Come se un uomo che picchia una donna (perché questo è stato) possa essere qualcosa da etichettare, qualcosa a cui dare un colore, qualcosa da sfruttare per portarsi a casa un po’ di popolarità in più. Così tutti presi a puntare il dito l’uno contro l’altro, i nostri politici hanno perso l’occasione di condannare una violenza schifosa e ingiustificabile, di condannarla e basta. Perché tutti hanno più o meno detto: “Condanniamo la violenza, ma…”. E se si “condanna una violenza, ma…” si apre, forse inconsciamente, un piccolo spiraglio alla giustificazione. E questo non si può accettare, specie da un politico.