“Digito ergo sum”, anche Cartesio si è aggiornato ed è su Facebook

L’editoriale di Giuseppe Strazzi

L’intuizione di Cartesio (1637), espressa con la sintetica formula in: “Cogito, ergo sum” (Penso, dunque sono) si è in questo nostro tempo trasformata in: “Digito, ergo sum”. Possiamo, quindi, ritenere che il nostro futuro è conservazione passiva (o cestinata) della storia passata. “Digito” non ha nulla a che fare con il dito, ma è un termine che deriva dall’inglese “digit” che significa “cifra”. I numeri sono spesso espressi in codice binario, ossia come una sequenza di 1 e 0 che è

il linguaggio utilizzato dai computer e dai riproduttori digitali come i compact Disc e i DVD. La funzione della digitalizzazione è creare, strutturare e riorganizzare le informazioni, indipendentemente dalla loro origine o formato al fine di renderle disponibili in modo semplice e rapido. Digitalizzare significa concretamente convertire tutto quello che è stato stampato su carta o impresso in pellicola in un documento digitale. Per esempio, il PC è uno strumento in grado di estendere e velocizzare le capacità mentali e mnemoniche dell’uomo. Si digitalizzano per esempio le opinioni e le relazioni interpersonali, mediante la posta elettronica. L’iPod è diventato il dispositivo portatile più diffuso per l’ascolto di musica digitale. Gli archivi e le biblioteche utilizzano la digitalizzazione per conservare documenti del passato, dove manoscritti originali, libri antichi rischiano di deteriorarsi e scomparire per effetto degli agenti atmosferici. Ora, ripercorrendo a grandi tappe le più importanti innovazioni che si sono avute per la diffusione del sapere, quali l’alfabeto (IX sec. A. C.); la stampa (XV sec. D.C.) e Internet (XX secolo), potremmo dire che oggi la conoscenza è patrimonio di tutti e si costruisce con la collaborazione di ogni membro della società. Ma purtroppo non è così! Siamo infatti ancora legati ad una società di tipo individualistico; tra gli uomini c’è competizione e manca quella collaborazione che funge da motore pulsante per una comunità di pratica e di apprendimento. Dunque, “digito, ergo sum”, implica la separazione del pensiero (sapere) dalle emozioni e l’agire senza reagire. E’ in gioco nell’era digitale la decostruzione dell’uomo come essere cosciente del proprio io che come scrive Cartesio: “può appunto pensarsi”. Il metodo cartesiano utilizzato per raggiungere la “consapevolezza di se stesso” si basa sulla distinzione del falso dal vero, attraverso “una critica spudorata della conoscenza”. Questa critica era mossa dalla volontà di giungere alla verità, perché troppi uomini si ingannano nei loro ragionamenti, anche quelli più semplici. E Descartes conclude: “Notai allora che la verità io penso, dunque sono era così solida e certa, che non avrebbero potuto rimuoverla neppure le più stravaganti supposizioni degli scettici, e quindi giudicai che potevo accoglierla senza esitazione, come primo principio della filosofia che andavo ricercando …”.

Così l’uomo giunge alla consapevolezza di essere una “cosa pensante”: deve aggrapparsi a questa garanzia e non deve lasciarsi abbindolare da tutte le falsità seducenti della realtà. Dal “cogito” al “digito”, l’uomo moderno vive il distacco e il non coinvolgimento dei benefici cognitivi della digitalizzazione, che stanno ormai, divenendo ostacoli da superare nelle relazioni interpersonali. Infatti, l’informazione si sposta alla velocità dei segnali del nostro sistema nervoso.

Con i jets e l’elettricità ci è possibile toccare in poche ore ogni parte del globo. Si è creato una sorta di “villaggio globale” e, non a caso, oggi si sente parlare in modo incessante di globalizzazione. Rispetto al “cogito”, il “digito” ci fa vivere in un contesto privo di dubbio e ricco di effimere certezze che si fondano su un principio di “utilitarismo”, in cui il sapere perde il significato di apprendimento personale. Si rischia di essere degli “idioti sapienti” che digitano la realtà sociale, ma non conosciamo più la storia della nostra civiltà. Infatti, ci isoliamo con computer, cellulari, ipod … e parliamo di cose banali, in quanto la conoscenza della realtà è distaccata dalla consapevolezza della individualità cosciente. Sembra quasi che gli strumenti digitali siano l’”altro” dentro ciascuno di noi.

Se fosse così, occorre riconoscere che la lotta tra l’amico o il nemico interiore a cui siamo sottoposti, ci porterà a scegliere se annullarci nella angosciosa manipolazione della mediaticità oppure divenire identici al modo di esprimersi dei mezzi digitali. In tal caso, vivremmo entro i limiti della nostra biografia, non esercitando più nessuna attività in modo naturale. E’ come se vivessimo isolati dal mondo, e accettassimo con convinzione la psicologica introversione tecnologica del “digito, ergo sum”.Siamo sempre in contatto e contattati,e soprattutto contagiati da una nuova “peste”. E speriamo non avvenga per il nostro futuro di civiltà il tremendo pensiero di morte interiore che ci fa dire: “Io sono, ciò che digito!”, vale a dire il caos collettivo,consumato ( e consuma anche noi) in innumerevoli messaggi da “spazzatura mentale”.