Gli opinionisti su Facebook. E gli ultrà dell’insulto

La prima sentenza per omicidio stradale in Lombardia ha scatenato gli ultrà dell’opinionismo senza limiti e senza regole. Nei giorni scorsi, Il tribunale di Varese ha condannato in primo grado il 24enne Flavio Jeanne a sei anni di carcere, per aver travolto e ucciso Giada Molinaro, 17 anni. Pochi minuti dopo la lettura del dispositivo, sui social network comparivano i primi post, viralizzati da decine di migliaia di visualizzazioni e centinaia di commenti.

Intendiamoci: esprimere la propria opinione è un diritto e un dovere sacrosanto. Ogni opinione, però, deve essere espressa correttamente. Quantomeno, deve rispettare la legge. Insultare è da sempre è un reato. Insultare attraverso un social network è un reato grave: diffamazione a mezzo stampa. Perché a tutti gli effetti internet e Facebook sono mezzi di comunicazione di massa. Le leggi in materia ci sono (da sempre) e sono chiare. Le sentenze sono altrettanto chiare e vanno nella stessa direzione.

Un semplice insulto postato su Facebook può costare da 5 a 40mila euro. Non si tratta di una lontana ipotesi accademica. È la realtà che ogni mese rovina oltre 500 famiglie italiane. Nel 2016 si sono registrate oltre 10mila denunce per diffamazione a mezzo stampa. La maggior parte di queste denunce riguarda post o commenti inopportuni pubblicati su Facebook.

Eppure, nessuno sembra essersene accorto. La diffamazione, l’apologia di reato, l’istigazione a delinquere sono il pane quotidiano degli squadroni dell’opinionismo. Fra le migliaia di commenti postati dai varesini nei giorni scorsi in calce agli articoli relativi alla condanna per omicidio stradale, almeno un centinaio travalicano palesemente i confini del codice penale.

Emi M.: “Feccia maledetta, spero che alla scadenza dei sei anni qualcuno ti aspetti per un calorosissimo bentornato”

Guido C.: “Complimenti ai vari giudici che se ne andassero a fare in c….”. Miriam L. : Basta aspettarlo fuori dal carcere fra sette anni”

Giovanni T: “Tutti i legislatori devono fare la fine di Giada: schiacciati vivi.”

Soltanto per citarne alcuni. Chi sono gli ultrà dell’opinionismo senza limiti? Basta cliccare sul loro profilo: operai, casalinghe,studenti, impiegati, professionisti. Come direbbe Totò, Facebook è una livella. Riesce a far sprofondare nel fango chiunque, senza distinzione di età, cultura e livello socio-economico.

Ad un recente convegno sul ciberbullismo, l’ispettore capo di un nucleo specializzato alla lotta contro i ciber crimini, confidava quanto il livello di ignoranza delle regole sia diffuso a livelli impensabili. Le regole, occorre ribadirle, ci sono e sono anche chiare. Eppure, scorrendo i commenti ad un post relativo ad una dichiarazione del Presidente della Repubblica comparso sulla sua pagina personale, l’ispettore capo si era reso conto che due suoi colleghi si erano lasciati andare ad una sequela di insulti nei confronti di Mattarella.

L’ispettore, in via amichevole, ha contattato i due colleghi facendogli notare il problema. Questi, per tutta risposta… nemmeno avevano capito il problema. Pensavano ad una divergenza di opinioni politiche. Non li sfiorava nemmeno il cervello che non soltanto insultare via Facebook è un reato, ma nemmeno che due ufficiali di Polizia, nel momento in cui infamano il la massima autorità dello stato, sono licenziabili in tronco!

D’altra parte, quanto ad ignoranza sulle regole della comunicazione, i primi, grandi, enormi ed imperdonabili protagonisti sono proprio loro (anzi, proprio noi, considerato che il sottoscritto fa parte della categoria): i giornalisti.

Al di là dell’ ignobile tendenza a lanciare il sasso e ritrarre la mano, cioè a provocare i lettori per il semplice gusto di creare scompiglio, su qualunque argomento possa suscitare gli istinti più bassi, per mettersi alla finestra e gustarsi i fuochi d’artificio, l’ignoranza delle regole da parte di giornalisti ed editori è palese. Provare per credere? Domanda: il moderatore, il direttore responsabile e l’editore sono responsabili dell’insulto postato da un lettore nel dibattito che segue l’articolo?

Sì. Per un semplice motivo: i commenti, soprattutto quelli pubblicati sulle pagine online del giornale, sono “moderati” dalla redazione. Cioè, è la redazione che li approva. Se una redazione approva la pubblicazione di un insulto, ne è responsabile. Esattamente come l’autore dell’insulto.

Nell’estate del 2015, due ragazzi varesini sono rimasti uccisi sulle strade del Salento. Uno era mio nipote. Erano due passeggeri, trasportati. Un tir gli ha spezzato il collo. “Se lo sono meritati”, “La selezione della specie”, “Chissà cosa avevano bevuto e di cosa si erano drogati”: sono alcuni degli interventi comparsi a commento degli articoli pubblicati da tutti i quotidiani italiani, grandi e piccoli. Tutti commenti “moderati” dalle redazioni.

Nessuno merita di morire. Tantomeno a 20 anni. Tantomeno se hai una bimba di un anno che ti aspetta a casa. Tantomeno se sei un passeggero incolpevole.

Ho presentato un esposto all’Ordine dei Giornalisti a carico di una ventina di colleghi ed una dozzina di testate locali e nazionali Ad un anno e mezzo di distanza, stanno arrivando le prime sentenze. Non avevo e non ho nessun interesse punitivo, nessun rancore o desiderio di vendetta.

Auspico, piuttosto, che da una tragedia, in un modo o nell’altro, la categoria dei giornalisti senta le necessità o magari il desiderio di ri-partire dall’abc della professione. Il giorno in cui i giornalisti torneranno a praticare la consapevolezza delle regole, “magicamente” sapranno trasmettere queste regole, questa etica e correttezza della comunicazione anche ai loro lettori, un po’ meno ignoranti e frustrati.