Il Varese ha fallito. Guai a voi se fallisce

L’editoriale di Gabriele Galassi

Fallimento. Totale. Il Varese Calcio chiude la sua seconda stagione di vita nel modo più indegno possibile. A livello sportivo, e ancor più dirigenziale. Un fallimento impensabile dopo una stagione (indimenticabile) come quella in Eccellenza. Quando il popolo biancorosso (e chi ama davvero questi colori), mentre ancora si leccava le ferite di chi venne a infangare di promesse e bugie la storia di questa gloriosa maglia, allungò la mano per far risorgere dalle ceneri una società

caduta all’inferno dopo aver toccato il paradiso. Una cavalcata strepitosa che, al 20 di marzo, regalò titolo e – bene ancora più prezioso – tempo per programmare e dare solidità al progetto. Ciò che accadde è noto: progetto Vavassori, sfumato; taglio di Giorgio Scapini da direttore sportivo (con promozione di Alessandro Merlin); inutile – e impossibile – inseguimento della Lega Pro con lo Sporting Bellinzago; 4 allenatori diversi sulla panchina del Varese (Melosi, Ramella, Baiano, Bettinelli); una campagna acquisti con troppe scommesse (perse) in estate e senza capo né coda a dicembre, mentre gli altri si rinforzavano. Il tutto condito da un’unica promessa: «Obiettivo Lega Pro, obiettivo Lega Pro».

Hai voglia, però, a dare la colpa ai giocatori. Che hanno dato tutto quello che potevano dare, in qualsiasi situazione, come tutti i loro mister hanno sempre detto. Le colpe, invece, vanno date a chi ha infarcito di promesse, raccontato storie, diviso in buoni e cattivi, messo il muso a chi criticava, dato “non risposte” a vere domande, convinto chi è facile da convincere (chi per interesse, chi invece per disinteresse), lasciato andare alla deriva il bene più prezioso dei tifosi: il Varese.

Basta promesse e storie, ora: non lo meritano i tifosi che amano questi colori (un esempio? Il Rinaldo Ossuzio: che c’era a Varese-Juventus 5-0 del 1968 e pure ieri a Varese-Gozzano nonostante un incidente che venerdì sera gli ha provocato una frattura allo sterno: era al suo posto in tribuna e poi fuori dal bar, con la testa tra le mani a chiedersi «ora cosa ne sarà del mio Varese?»), non lo meritano gli allenatori che hanno dato tutto per questa maglia (ultimo, ma non solo, Bettinelli: come vi permettete di chiamare per 8 partite senza parlare di futuro un uomo, prima che un allenatore, che ama il Varese tanto da soffrirne, a cui neanche avete comunicato cosa stesse accadendo prima che lui lasciasse la sala stampa?), non lo meritano i bambini del settore giovanile e della scuola calcio, i loro genitori e i loro mister, che insieme girano l’Italia portando alto e con orgoglio il nome del Varese, non lo meritano i fornitori che, ancora, si sono messi a lavorare per il Varese. Basta promesse e storie, ora: vogliamo la verità da Taddeo e Basile, cioé da chi comanda. Cosa state facendo al Varese?