La mamma degli stolti è sempre incinta

Ebbene signore e signori, rassegniamoci: se il mondo, dati di natalità alla mano, sapeva che noi italiane siamo sempre meno propense a partorire, ora ha la certezza che almeno il nostro governo è perennemente gravido di figure di palta memorabili. Cosa dire di più sulla propaganda del cosiddetto “fertility day”? Forse varrebbe la pena un pietoso silenzio, di fronte a certi slogan. Spot colossali alla natalità che meriterebbero solo una valanga di risposte più che colorite, giusto per rendere più chiari i concetti caso mai qualcuno non ci arrivasse. Perché è ovvio che lassù, tra gli scranni del potere, qualcuno non ci ama ma soprattutto non ci capisce. O non capisce e basta.

Ben venga, per una volta, l’ironia tagliente dei social network dove i manifesti concepiti da chissà quale combutta di cervelli (profumatamente pagati con soldi pubblici, cioè da noi) sono diventati oggetti di parodie di ogni genere.

Un autogol di un clamore tale che, davvero, sembra incredibile. Anche perché, nel mondo ideale, un funzionario dello Stato si auspicherebbe che fosse un amministratore al servizio di tutti. Un Ministro della Salute in particolar modo, il cui compito dovrebbe appunto essere quello di tutelare il benessere fisico di tutti i cittadini di un Paese (civile). Tutti. Procreatori e non. Quale sarà il passo successivo? Farci indossare le mostrine? Tre stellette a chi ha più di tre figli, una sola a quegli stolti che si permettono di figliare una volta sola e una lettera scarlatta cucita sul petto a chi, per i più ingiudicabili e sacrosanti motivi, non si riproduce?

Perché si dovrebbero fare figli? Non di certo perché ce lo dice il Ministero. Altrimenti li facciamo snocciolare a milioni di mamme o potenziali mamme italiane un bel po’ di slogan, e pure a costo zero. Che so, lanciamo l’hashtag #spiegamicomesfamounfigliosenonhounlavoroday tanto per dirne uno. Perché sì, caro ministro, lei forse lo ignora ma la prima domanda che viene fatta a una donna di qualunque età a un colloquio di lavoro è: «Lei ha figli? Intende farne?». E questa si chiama discriminazione. Un male ben più inestirpabile e silenzioso, la cui cura evidentemente è ben lontana dal venire alla luce.

di Marco Tavazzi