Oggi siamo chiamati ad avere il cuore in mano

C’è una Varese più povera dell’immaginario. Deciso di fare un’inchiesta tra i disagiati, siamo stati i primi a sorprenderci dell’esito, che vi proponiamo in questo numero del giornale: il dodici per cento dei cittadini vive sotto la soglia di un’accettabile esistenza, un altro dieci-quindici vi si avvicina.
Causato da motivi vari, spiegati dalle numerose interviste che leggerete all’interno, lo scenario di fondo evoca un’emergenza importante. Parzialmente inattesa. E alla quale dedicarsi con tutto l’impegno possibile. Un impegno,

per la verità, che già esiste sul fronte istituzionale e su quello del volontariato: Varese non si tira indietro nell’aiutare chi fatica a dare una cornice almeno dignitosa alla sua vita. Ma è un impegno che non basta. Ce ne vuole ancora di più.
La condizione di sofferenza colpisce gli anziani, i disoccupati, i bambini. Sì, anche i bambini, cui i genitori vorrebbero garantire una qualità di nutrimento –ecco il dato maggiormente significativo e sconsolante- che il loro portafogli talvolta non è in grado di sostenere. Avete capito bene: nutrimento. Ci sono madri e padri che non riescono a procurare un pasto proteico al giorno ai figli. Non ce la fanno a dargli da mangiare come vorrebbero.
La conclusione è purtroppo semplice: all’elevarsi della partecipazione pubblica e privata al tamponamento di un fenomeno sociale tanto negativo non corrisponde una discesa della miseria. Succede invece il contrario. E suona ancora di più la campana per l’accoglienza, la generosità, l’adoperarsi di Varese. Mai come oggi chiamata ad avere il cuore in mano.