Mentre il resto del mondo celebra l’amore, noi piangiamo ancora Marco Pantani

Trovare ogni anno le parole da dedicare a Marco Pantani, effettivamente, non è semplice. C’è il rischio di diventare ripetitivi, stucchevoli, retorici. Anche perché non è un obbligo doverne scrivere. Però il 14 febbraio non è mai un giorno normale, non passa inosservato. E nel nostro muoverci quotidiano, nella vita di ogni giorno, un pensiero oggi non può non andare al Pirata. Oggi sono tredici anni che Marco non c’è più e come ogni anno è

giusto, anzi è doveroso ricordarlo. Tredici anni senza la bandana gialla sono tanti, e la più grande eredità che Pantani ci ha lasciato è proprio questa: essere qui, tredici anni dopo, a parlare ancora di lui. Come ritrovarsi ad un bar, a ricordare un amico: il nostro spazio, il nostro tavolo, è questo, queste poche righe che ormai sono un appuntamento consueto, ogni 14 febbraio. Nel giorno in cui il resto del mondo celebra l’amore, noi custodiamo sempre nel nostro cuore un posto, un pensiero, un angolo per Marco Pantani. Sostanzialmente una grande tristezza, un po’ velata dal tempo. Un sorriso amaro. Passeranno gli anni e sarà sempre così. Perché al netto di discorsi e percorsi giudiziari, oggi è il giorno in cui ricordiamo il Marco ciclista, il Marco uomo. No, a distanza di tredici anni non è facile continuare a ricordare, a scrivere, a parlare, ma è una volontà che non dobbiamo perdere e che non deve appassire.

Perché, forse, questi tredici lunghi anni hanno inconsapevolmente mantenuto alla luce Pantani più per le battaglie post-mortem, per quella legittima e disperata ricerca di giustizia che la famiglia porta avanti con umiltà da tempo. Parlare di Pantani sembra essere diventato un campo minato, in cui è molto facile inciampare. Allora noi, almeno oggi, facciamo un passo indietro e dedichiamo spazio ad un semplice ricordo, umile.

Abbiamo sempre seguito le battaglie, con spirito, per cercare giustizia. Oggi è giusto limitarsi al ricordo. Il 20 maggio il Giro del Centenario dedicherà un arrivo di tappa al Pirata, un traguardo non casuale: Oropa.

Una montagna che, proprio in questi giorni, la città di Biella sta cercando di intitolare “Montagna Pantani”. Un segno tangibile di ciò che resta, di ciò che Pantani ha lasciato: il ricordo che va oltre quello di semplice ciclista, nonostante la sua carriera fosse supportata da un palmares meno ricco di altri campioni. E sta qui la sua grandezza. Il ricordo delle gesta, delle imprese, del coraggio di un campione sfortunato, tenace, assoluto e indimenticabile.

Un campione inarrivabile, irripetibile nel suo talento ma allo stesso tempo umano nella sua fragilità, nei suoi errori e nella sua purezza, che lo ha portato a cadere e a non trovare più la forza di rialzarsi in un mondo che lo aveva messo da parte, etichettandolo. E proprio per questo avvicinandolo sempre di più alla gente, ai tifosi a bordo strada che ancora ricordano quel silenzio incredibile dei centomila sul Mortirolo, il 6 giugno del 1999, il giorno in cui fu escluso dal Giro in maglia rosa.

Pantani è stato un uomo come noi, di cui forse negli anni si è persa la dimensione, la grandezza, il mito, parlando del resto e non di lui.

Oggi sono tredici anni senza Pantani, e ogni anno che passa ci sentiamo sempre più soli, in silenzio, ad aspettarlo in cima al Mortirolo.