Occorre accorciare le distanze tra chi scrive e ciò che scrive

Gran lavoro, in questi giorni, per i ragazzi che seguono i nostri social: fissi davanti al profilo Facebook 24 ore su 24 a moderare, per cancellare i commenti di chi ha ormai preso internet per il luogo in cui sfogare le frustrazioni. Da chi commenta sotto la notizia del malore di Gentiloni augurandogli la morte, a chi scrive sotto il pezzo in cui si racconta dello sgombero dell’area ex Enel rifugio di tanti disperati una frase del tipo “Ma

non si poteva dare una bella passata col napalm, ovviamente con dentro i negri?”. Che se poi si va, per curiosità, a curiosare nei profili di questi signori ci si imbatte in sereni quadretti di famiglia, fotografie con i bimbi in braccio, appelli a non levare i crocifissi dalle nostre aule. Sarebbe bello se questi commenti con tutto il loro carico di ignorante violenza venissero letti dal parroco durante la messa. O se le maestre dei figli di questi signori leggessero in classe questi illuminati pensieri. Perché occorre accorciare il livello di distacco tra chi scrive e ciò che scrive. Nessuno dei commentatori da strapazzo che ammorbano Facebook con la loro idiozia avrebbe il coraggio di dire le stesse cose in pubblico, davanti ai figli, di fronte alla moglie. Ecco quale dovrebbe essere la regola aurea dei social: prima di scrivere qualsiasi cosa uno dovrebbe chiedersi “Leggerei questo commento in chiesa, a tavola, davanti al mio datore di lavoro, davanti a mio nonno?”. Se la risposta è no, allora si eviti di scrivere. A proposito di nonni, già che ci siamo. Sulle bacheche di questi signori, è facile trovare post in cui si rimpiangono i bei tempi andati, quelli dei nostri nonni appunto. Dimenticando il livello di buona educazione e di buone maniere che c’era allora.