Quella follia tutta italiana di chiudere il calcio durante le feste

Lo sport è tante cose insieme (quasi tutte belle) ma soprattutto, quando è ai massimi livelli, lo sport è spettacolo. Spettacolo inteso come intrattenimento, come gioia per gli occhi, come palazzetti e stadi da riempire, come prodotto da offrire. Il periodo delle feste, insomma, sarebbe quello in cui concentrare le sfide più belle: la gente ha più tempo libero, può andare allo stadio o concedersi il lusso di godersi una partita davanti alla tv. Gli Usa l’hanno capito perfettamente, e infatti il giorno di Natale l’Nba piazza la sfida più attesa (quest’anno, meravigliosa, la riedizione delle Finals 2016 tra Golden State e Cleveland). Anche in Inghilterra hanno capito che lo sport dev’essere al servizio della gente e infatti la Premier League gioca a Santo Stefano e l’ultimo dell’anno.

In Italia, no. In Italia il calcio di serie A si ferma e i calciatori vanno in vacanza per una quindicina di giorni, a scattarsi selfie da qualche atollo tropicale. No, non tiriamo fuori la storia dei campioni milionari che potrebbero anche rinunciare alle loro vacanze di Natale e fare quello per cui sono lautamente pagati: no, sarebbe troppo facile.

Semplicemente ci chiediamo quando anche il calcio di casa nostra troverà quel briciolo di umiltà per guardare fuori dal suo orticello e provare a imparare dagli altri. Da chi è più bravo. Da chi è capito che il pubblico è la cosa più sacra e importante che ci sia.

Chiudere la macchina dei sogni durante le festività è l’ennesima follia di un movimento malato, incapace di accorgersi che il tempo passa e le cose cambiano.