Un amico perso che va ritrovato vale la fatica d’un silenzio rotto

L’editoriale di Fabio Gandini

Tra i desideri che lo scoccare del nuovo anno ci ha costretto a mettere in fila e a dividere tra raggiungibili e irraggiungibili, noi metteremmo volentieri una priorità: ritrovare un amico (o un’amica) perso. Perso perché lontano, perso perché il tempo ci ha fatto scordare l’indirizzo del suo cuore e le istruzioni per raggiungerlo, perso perché un litigio gonfiato dall’orgoglio lo ha messo fuori dalla porta del nostro affetto. Perso perché la pigrizia – in una vita che alza i suoi ritmi in maniera bulimica –

diventa spesso e volentieri una via di fuga: non lo chiamo, non lo sento, ho altro da fare, capirà. No, non capirà: ti perderà. Perso perché chi non piace a se stesso, chi non si sente a posto con la propria coscienza, chi è sormontato dai piccoli e grandi problemi della propria esistenza, tende a fuggire dal contatto umano, anche e soprattutto quello di chi lo ha conosciuto ed apprezzato in tempi migliori. Si chiama vergogna e prima o poi colpisce tutti, senza distinzione tra brillanti e miserabili. E la vergogna ti allontana dal mondo e dal suo afflato vitale. Le ragioni di un’amicizia che interrompe bruscamente il proprio salvifico cammino possono essere tante, ma la soluzione per ritrovare quei passi, senza spegnersi di sofferenza davanti al loro eterno eco, è una sola: uscire dalla propria trincea e presentarsi disarmati davanti a quell’amico diventato nemico. Si scoprirà che quell’anima, che una volta era senza segreti, ne conserva gelosamente ancora uno: la voglia di ritrovarsi. E si scoprirà anche che quel torto che teneva lontani non valeva un ascolto sincero, né il regalo di un affetto innocente ma indispensabile, né quella complicità che il tempo non è riuscito a scalfire.