Un ricordo di Edoardo Balduzzi. Padre della psichiatria, grande uomo

Che emozione questa mattina aprire il giornale e vedere la foto di un giovane Edoardo Balduzzi.

Ho conosciuto il “Professore” alla fine degli anni 60 entrando – giovane ragazzo pieno di sogni – nel “manicomio” di Bizzozero al seguito dei laboratori d’arte organizzati da Mariuccia Secol, grande artista e grande donna.

Si era allora nel pieno di un dibattito che stava diventando sempre più ideologico e lui, invece, voleva ancorarlo fortemente alla realtà. Ed allora moltiplicava le occasioni per aprirsi all’esterno con l’uso di laboratori di espressione artistica, concerti di musica, rappresentazioni teatrali. Ricordo una “Mariana Pineda” (si faceva Garcia Lorca, non robetta) con un pubblico attentissimo. Alla fine, come sempre, il dibattito; si alza un signore che si rivolge alla protagonista: «Lei a quel punto ha sbagliato la battuta ed ha cambiato il senso della frase, così poi non si capisce». Silenzio totale.

E poi laboratori teatrali che hanno portato anche ad uno spettacolo che dava voce al disagio (a volte alla paura) dei pazienti ricoverati di fronte all’ipotesi di dover lasciare quel nido ovattato per tornare in un mondo ormai dimenticato e senza vedere una concreta rete di protezione. Non volevano uscire. Posizione scomoda a quei tempi in cui si parlava solo di “chiudere i manicomi”. Balduzzi aveva il sogno di spalancare quei cancelli, ma, allo stesso tempo,

capiva che questo non poteva avvenire con un colpo di bacchetta magica, ma che occorreva un lungo percorso per riuscire a mettere d’accordo l’esigenza sociale di trovare una alternativa alla reclusione forzata con l’esigenza di ogni singolo individuo. Poi, ritornato a Varese, il nostro rapporto è diventato ancora più forte. Abbiamo condiviso i momenti di gioia e di dolore, la sua passione politica ed il suo impegno come consigliere provinciale, il suo impegno sociale, la sua delusione per il disgregarsi di un’etica che secondo lui doveva essere sempre alla base di ogni scelta. Mi diceva: «Ti mancano le basi, devi studiare, sempre. Non arrenderti». E soprattutto: «Non fidarti mai delle certezze. Coltiva il dubbio. Io da giovane ho fatto decine di elettroshock, poi basta. Ma siamo sicuri che fossero così negativi?». E poi ancora, poco prima che morisse quando gli chiesi «Ma allora, se la malattia mentale non esiste , se non è una malattia che cosa è?». Lui che l’aveva studiata per una vita intera mi rispose : «Non lo so». n