Dolce Belle: storia di un’amica che vede per noi

“Testamento-appello” di una collie molto speciale: «I cani guida regalano autonomia: rispettateci»

«Mi chiamo Belle e questa è la mia storia». Belle è un cane guida di razza collie. Lo scorso 16 ottobre si è celebrata la Giornata Nazionale del cane guida e la sezione provinciale di Varese dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti Onlus, per sensibilizzare in merito a questo importante tema, ci ha presentato la “testimonianza personale” di questa piccola amica pelosa.
«Sono nata a Carnago in una grande fattoria, da Tea, una splendida Collie che tanto assomigliava alla famosissima Lessie, insieme a ben sette fratelli».

Per due mesi, la cucciolata ha vissuto insieme alla loro mamma. «Poi, uno dopo l’altro mi hanno lasciata sola. Arrivava, infatti, qualcuno che ci guardava, ci accarezzava e poi sceglieva chi portarsi via. Ero una bellissima cucciola, sapevo di essere intelligente, ma venivo regolarmente scartata».
Belle rimase così con mamma Tea e con gli altri cani della fattoria a vivere la sua vita da cane di campagna, educata dai suoi proprietari, ma soprattutto dalla sua mamma che non la perdeva mai di vista e le insegnava come vivere in fattoria.

«Ero vivace, curiosa, mi piaceva correre all’impazzata nel bosco, giocare a palla con i bambini. Vissi così per un anno. Venne una signora che mi coccolò per un poco, mi mise il guinzaglio e, insieme ai padroni mi fece fare un giro fino al bosco. Tornò altre volte e io mi chiedevo perché non mi portasse con sé».
A farlo invece fu un signore che la fece camminare al guinzaglio. «Disse che sarei diventato un “cane guida”, mi caricò su un pulmino e mi fece fare un viaggio che a me parve interminabile. Da quel momento in poi la mia vita fu davvero dura. Per tantissime ore della giornata rimanevo chiusa in un box: non più giochi spensierati, ma esercizi prima a “ corpo libero “ poi imprigionata dentro una “cosa“ che il mio addestratore chiamava guida». Finiti gli esercizi Belle poteva passeggiare nel parco.

«Poi, mi rimettevano dentro nella mia prigione. In seguito vennero esperienze ben più difficili. Conobbi treni, la metropolitana e dovetti imparare a badare al movimento delle macchine prima di tentare un attraversamento, guidando il mio addestratore che simulava di essere non vedente».
Di tanto in tanto ricompariva la signora che Belle aveva conosciuto in fattoria. «Mi coccolava, mi parlava, io le rispondevo leccandole le mani e facendole pipì sui piedi in segno di gioia. Divenni brava e sempre più sicura di me, anche se continuavo a non capire bene a che cosa servisse tutto quel lavoro. Lo compresi invece quando mi fece salire sulla sua macchina e mi portò a casa sua».
«Mi insegnò a girare per tutto il paese entrando nei negozi, frequentando la biblioteca e salendo sugli autobus e sui treni». Tra Belle e la sua padrona si era creato un rapporto di reciproca fiducia e affetto inscindibile.

«Non avevamo bisogno di parole, per capirci bastava un gesto. Io mi sentivo responsabile, importante, ma sapevo di poterlo essere proprio perché era da lei che ricevevo indicazioni e sostegno. La sua fiducia era la mia sicurezza». Insieme realizzarono progetti belli ed utili a tante altre persone.
Passarono gli anni e Belle incominciò a invecchiare: «Avevo 14 anni e quando ero libera facevo fatica a ritornare accanto alla mia padrona perché perdevo l’orientamento». La morte ha colto Belle nel sonno ed ecco il suo testamento: «Bisogna che ci siano tanti cani guida, perché danno autonomia alle persone che non vedono e gioia a noi. Dobbiamo però essere rispettati nel nostro lavoro e non mandati fuori col nostro padrone dal ristorante, dal supermercato o dall’autobus. Non siamo intrusi e nemmeno dei giocattoli».