“Assurdo non sapere perché sono morti”

VARESE Il 14 giugno 2008 Giuseppe Uva, artigiano di 43 anni, moriva nell’ospedale del circolo dopo un trattamento sanitario obbligatorio. Era stato fermato dai carabinieri in via Dandolo, e condotto nella caserma di via Saffi. Quello che è accaduto lì dentro, è tutt’ora un mistero.
Ieri, dopo quasi due anni e a pochi metri di distanza dal luogo del fermo,  l’ex cinema Rivoli di via dei Bersaglieri ha ospitato il convegno «Diritti negati – La sicurezza è

un bene di tutti».
Sul palco tre donne. Patrizia Aldrovandi, la mamma di Federico, il 18enne morto a Ferrara il 25 settembre 2005 in seguito a un intervento di polizia; Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, il 31enne bloccato a Roma dai carabinieri il 15 ottobre 2009 e morto in ospedale nella mattina del 22 in circostanze tutt’altro che chiare; e Lucia Uva, la sorelle più grande di Giuseppe.
«Pino era uno spirito libero – ha esordito Lucia – le sue marachelle le ha fatte, ma non ha mai commesso cose atroci. Se ha dato qualche problema, l’ha pagato». Quello di Lucia è stato un duro atto d’accusa nei confronti del modo in cui la procura varesina ha condotto le indagini: «In questi due anni ci hanno parcheggiato in un cassetto». E chiedendo giustizia a gran voce, ha domandato: «Come mai, a distanza di due anni, il pm non si è ancora deciso a chiamare Alberto Biggiogero, l’ultima persona che ha visto Giuseppe vivo? Perché non sono stati sentiti i marescialli che stavano in quella caserma?».
Il dolore di Lucia Uva è quello di Ilaria Cucchi. «È impensabile – ha detto la sorella di Stefano – aver perso un familiare e non sapere il perché a distanza di tanti mesi. È assurdo. Può succedere che all’interno di un’istituzione qualcuno abbia sbagliato. E allora perché non punirlo? Altrimenti in futuro qualcun altro potrebbe sentirsi legittimato a fare la stessa cosa».
Un tema, questo, ripreso anche da Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia e presidente dell’associazione «A buon diritto». «Io penso che Lucia Uva dovrebbe essere ricevuta dall’amministrazione comunale di queste città. Per un motivo. Perché quello che stanno facendo lei e le altre donne è uno straordinario contributo alla tutela delle istituzioni; istituzioni degne di rispetto e legittimità se sono capaci di garantire l’uguaglianza dei cittadini. Per questo dico: viva i carabinieri e abbasso quelli – uno, due, quattro – che, oltraggiano l’Arma con comportamenti iniqui, ricorrendo ad abusi, illegalità, violenze».
Intanto Alberto Biggiogero, l’uomo fermato dai carabinieri insieme a Pino in quella tragica notte, ha rivelato a margine del convegno di essere stato oggetto di telefonate minatorie. Chiamate giunte circa un mese fa, dopo le sue apparizioni televisive. Biggiogero racconta di aver ricevuto sul cellulare una telefonata da un numero anonimo. «Biggiogero? – ha domandato – se non la pianti, la prossima volta che ti troviamo da solo ti facciamo fare la stessa fine di Uva».
Enrico Romanò

e.marletta

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