Benny, una lezione da uomo vero Maran la roccia a cui aggrapparsi

di Andrea Confalonieri

VARESE Benny Carbone era l’uomo giusto nel momento e nel posto sbagliato. Spalle larghe, cuore grande e se, come dice qualcuno, avrà pure sbagliato il novanta per cento delle scelte che ha fatto, il dieci restante è fatto da intuizioni così folgoranti da presagire una grande carriera. Tornasse tra qualche anno sulla panchina del Franco Ossola, con una gavetta da tecnico un po’ più lunga, avrebbe molta fortuna. Forse l’avrebbe trovata anche adesso se avesse avuto ciò che,

per esempio, salvò Devis Mangia nel 2007 quando fu sul punto dell’esonero nel suo primo campionato biancorosso da allenatore professionista.
Anche Mangia allora voleva sempre fare di testa sua, a costo di andarsela a spaccare sul muro (ciò che è successo a Benny con i sette vorticosi cambi di formazione in sette partite, un azzardo suicida soprattutto nella rotazione impazzita dei centrali difensivi, cuore e sangue di ogni squadra, o nell’attuare il turnover in una sorta di finale che metteva in palio la vita, tra l’altro sua). Ma a tirare Devis per la giacchetta e a consigliarlo o a riportarlo alla ragione c’era sempre chi sapeva di calcio più di lui, cioè la famiglia Sogliano. Se non l’avesse ascoltata, accettando che esistesse qualcuno da cui imparare, non sarebbe diventato quel tecnico da serie A che è oggi.
Carbone, purtroppo, non ha voluto o più probabilmente non ha potuto ascoltare nessuno e così è andato a sbattere. E se anche avesse battuto il Sassuolo, avrebbe solo rimandato l’esecuzione perché un uomo solo al comando, se non si chiama Fausto Coppi, non può spostare le montagne ma solo franarci addosso.
Ma è caduto in piedi, da hombre vertical, mentre chi va avanti lo farà a testa e a voce bassa. C’è qualcosa in più dei gol e delle vittorie mancate e si chiama onestà, limpidezza, fierezza: Benny se ne va ma ce le lascia attaccate e ci dà la forza di combattere nel loro nome, senza guardare in faccia nessuno. Per questo, merita di essere salutato soltanto con una parola: grazie.
Rolando Maran è l’uomo giusto al momento giusto perché ha la solidità della roccia, chiede solo di aggrapparsi. Basterà allungare una mano. Speriamo, per lui e per tutti, che non sia arrivato nel posto sbagliato.

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