Dal 2010 portate negli Usa 23 aziende di giovani italiani

Varese – Dal 2010 ad oggi, da quando cioè guida la Fondazione ‘Mind the Bridge’, ha portato negli Usa 23 imprese di giovani italiani, 13 delle quali sono riuscite a sopravvivere, raccogliendo finanziamenti per 6,5 milioni di dollari. Alberto Onetti, dalla sua cattedra in Economia e Gestione delle imprese all’Insubria, insegna ai suoi studenti come diventare imprenditori.
Varese è la quinta provincia lombarda per società semplificate a responsabilità limitata. Cosa ne pensa? Queste nuove norme,

così come il decreto sulle start-up, rappresentano dei passi avanti. Queste forme societarie sono strumenti necessari. Sui numeri resto freddo: le scelte giuridiche delle strutture societarie sono figlie di processi decisionali che spesso non sono gestiti spesso dall’imprenditore. È una scelta che si fa con il commercialista o il notaio. I dati di risposta sono dunque figli della propensione del tessuto di supporto a consigliare queste nuove forme.
Come descriverebbe l’ecosistema varesino? Non vedo un ecosistema. Vedo un fermento, un potenziale legato ad una tradizione importante, che però è spostata su tecnologie mature. Manca una generazione di imprenditori, che stiamo formando nelle università. Sempre più studenti mi presentano dei progetti di impresa.
E cosa le chiedono? Nulla. Un imprenditore non chiede, fa. Dobbiamo cambiare approccio: non creare fenomeni, ma sostenerli. Al di là delle difficoltà normative, il blocco è culturale. Dobbiamo spiegare ai giovani che bisogna pensare alla propria carriera in maniera imprenditoriale.
Quanto ci sarebbe bisogno di un acceleratore di impresa all’Insubria? Il problema rimane quello di un’operazione culturale sull’imprenditorialità. Non credo tocchi all’iniziativa pubblica realizzare realtà di questo genere. Serve piuttosto un privato che investa sul territorio, anche se però questi soggetti più facilmente si muovono nei centri più grandi.

p.rossetti

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