"Ripuliamo le nostre cittàdalle statue di Garibaldi"

VARESE «Garibaldi? Conquistò dei popoli liberi per interessi economici stranieri». E la rimozione delle statue «è giusta e auspicabile». Parla Gilberto Oneto, studioso padano ed editorialista di Libero, che asseconda la protesta leghista di Varese contro Garibaldi. Giusto in sostanza ignorare il 150esimo anniversario della battaglia di Biumo. Giusto anche spostare nei musei statue e monumenti dedicati all’eroe risorgimentale. Compreso quello varesino che, curiosamente, campeggia proprio di fronte alla sede cittadina della Lega.
Cosa ne pensa della battaglia contro i festeggiamenti risorgimentali scatenata dalla Lega Nord?
L’identità

italiana è una invenzione letteraria senza alcuna radice nella storia e nei fatti: è stata costruita dopo l’unità per trovare una giustificazione “morale” a un processo politico attuato con la forza e in spregio a ogni forma di legalità, ma anche contro la volontà popolare. É giusto per chi voglia davvero cambiare radicalmente le cose smascherare l’inconsistenza e la falsità degli idoli sostituendoli con riferimenti più sicuri e concreti.
Condivide la rimozione della statua del garibaldino?
Il Risorgimento ha riempito le nostre città di dediche a gente non sempre commendevole, la cui pochezza contrasta con un passato storico straordinario che è spesso invece dimenticato. In provincia di Varese è stata eretta la prima statua a Garibaldi, a Luino, quando il biondo eroe era ancora vivo e vegeto: sarebbe significativo che da qui partisse la “pulizia” del paesaggio civile.
Sta dicendo che è giusto abbattere, ho capito bene?
Non serve abbattere le statue, soprattutto se hanno qualche valore artistico: si possono spostare, ritirare in qualche museo magari evidenziandone con chiarezza i significati e le ambiguità.
Il Partito democratico, con una lista di varesini “illustri”, sostiene che la città giardino fu un emblema di città garibaldina. Storicamente, è d’accordo?
Si ricordano con facilità i nomi dei vincitori. Migliaia di lombardi hanno disciplinatamente vestito l’uniforme imperiale fino all’ultimo. Ma, soprattutto, molte persone per bene avevano sinceramente creduto nella necessità di un cambiamento radicale e troppo tardi si sono accorte di essere cascate dalla padella austriaca nella brace italiana.
Si dice che l’unità d’Italia fosse voluta dagli interessi economici degli Stati stranieri.
Francesi e inglesi dovevano controllare il Mediterraneo in vista dell’apertura del canale di Suez. La Francia mirava a estromettere l’Austria e diventare il tutore del nuovo Stato o di una confederazione di Stati: il modello era quello del primo Napoleone. Gli Stati Uniti cercavano di inserirsi nel nuovo mercato mediterraneo. A prevalere sono però stati gli inglesi che, cinquant’anni dopo avere liquidato Genova, Venezia e Ragusa, hanno annientato anche la concorrenza marittima di Napoli, assicurandosi anche il controllo dello zolfo siciliano, una sorta di protettorato sull’economia italiana e la fedeltà politica dei Savoia, fatto valere nel 1915 e nel 1943. Sono stati gli inglesi a dirigere Garibaldi nel 1860, a finanziarlo e proteggerlo.
È giusto, nell’ottica dell’autonomismo leghista, riscrivere la storia, non cancellandola, ma cambiando simboli che non rappresentino le comunità locali?
Assolutamente sì. Servono conoscenza, coerenza e sistematicità.
La figura di Garibaldi, che emerge dal suo libro, è quella di un avventuriero, senza grandi capacità politiche, ma con una forte ambizione che lo aiutò a scalare la vetta del successo. Forse, è considerato l’eroe nazionale perché rispecchia le ambizioni dell’italiano medio?
Non m’intendo molto di italiani. Sicuramente non è stato quello che il padano medio vorrebbe essere: una persona seria che vuole raggiungere il successo grazie all’impegno, alla serietà, all’onestà e al lavoro.
Marco Tavazzi

e.marletta

© riproduzione riservata