Il giovane Hemingway sulle rive del Verbano

Quando il celebre scrittore americano venne nel nostro Paese e scoprì le sponde del Lago Maggiore

Non era “vecchio” e non c’era nemmeno “il mare”, quando il giovanissimo Ernest Hemingway (Oak Park, Chicago 1899 – Ketchum, 1961) arrivò sulla sponda piemontese del lago Maggiore, fermandosi a Stresa, nel Grand Hotel des Iles Borromées. Il cortocircuito fra vita e romanzo è quasi impossibile da evitare, così come l’identificazione fra Hemingway e il protagonista di “A Farewell to arms” (“Addio alle armi”, pubblicato nel 1929), Frederic Henry, innamorato della giovane infermiera Catherine Barkley. «Dio

sa che non avevo voluto innamorarmi di lei» si legge nel celebre romanzo. «Non avevo voluto innamorarmi di nessuno. Ma Dio sa com’ero innamorato e giacqui sul letto nella stanza dell’ospedale di Milano e ogni genere di cose mi passò per la testa». Questi i sentimenti che affiorano alla mente di Frederic Henry, che su un letto d’ospedale militare – come lo scrittore ferito, nella notte dell’8 luglio 1918, dalle schegge di un proiettile di mortaio e da pallottole di mitraglia – si ritrova, improvvisamente, profondamente innamorato della bellissima infermiera Catherine Barkley – Agnes. Un intreccio di amore e morte che rievoca da vicino l’incontro fra il giovane scrittore Ernest Hemingway, appena diciannovenne, con la crocerossina Agnes von Kurowsky, di ventisei anni, all’ospedale della Croce Rossa vicino al Duomo, in via Cesare Cantù, 4, a Milano. Hemingway era già cronista del “Kansas City Star” quando si presenta volontario per andare al fronte, anche se viene escluso, per un difetto alla vista, dai reparti di combattimento e arruolato nei servizi di autoambulanza, sul versante italiano del conflitto. «Il giovane tenente americano passa in barca il confine con la Svizzera – scrive Fernanda Pivano nell’Introduzione ai “Romanzi”, Meridiani – vive in un’estasi di felicità una delle più grandi stagioni di amore letterario di tutti i tempi e vede morire di parto la splendida reincarnazione della dolce infermiera di Milano, dolce alla Kipling, dolce alla Hadley, dolce come erano gli “angeli del focolare” vagheggiati ancora in quegli anni del primo dopoguerra, resta un caposaldo delle invenzioni hemingwayane, magari autobiografico in certi momenti fino alla cronaca (a parte Caporetto che non ha mai visto)».

Frederic Henry, infatti, dopo la disfatta fuggì dal fronte e raggiunse a Stresa al Grand Hotel des Iles Borromées, un maestoso albergo dal grande fascino, Catherine, che aspettava un figlio. «L’albergo era molto lussuoso. Percorsi i lunghi corridoi, scesi le ampie scale, attraversai i saloni fino al bar. Conoscevo il barman e mi sedetti su un alto sgabello e mangiai mandorle salate e patatine. Il Martini era fresco e pulito». Il tenente e la crocerossina sono costretti ad abbandonare l’Italia e a fuggire in Svizzera, attraversando, in barca, il Verbano; il giovane è ricercato perché disertore. «Remai verso l’Isolabella e arrivammo sotto le muraglie che calano a picco nel lago profondo, vedemmo i pendii rocciosi cercarne il fondo nell’acqua limpida, e passammo lungo l’Isola dei Pescatori. Remai intorno all’Isola dei Pescatori. Sulla riva verso Pallanza barche stavano in secco e gente ritirava le reti». La descrizione del lago Maggiore continua poeticissima: «Poi il vento strappò le nubi così che apparve la luna e potei vedere dietro di noi la Castagnola e il lago bianco di onde, più indietro la luna sopra la neve delle montagne. Il lago si allargò: sulla sponda opposta, ai piedi delle montagne, vedemmo luci che attribuii a Luino. Una breccia a forma di cuneo si apriva tra le montagne e là doveva essere Luino. Se era davvero Luino avevamo camminato bene. Lasciai i remi. Mi sentivo stanchissimo». Quindi l’arrivo a Brissago, sulla sponda destra del Maggiore, in Ticino.

Ma il romanzo, d’amore e di guerra, ritrae la tragedia che si consuma, rapidamente, nelle ultime pagine del romanzo: la morte di Catherine e del bambino, in ospedale. Anche nelle ultime pagine della vita dello scrittore è entrata l’Italia. Secondo i diari della moglie Mary, infatti, Hemingway – riporta Richard Owen, nel volume appena uscito “Hemingway e l’Italia”, Donzelli – “la notte prima che si sparasse avevano iniziato a cantare una canzone che cantavano i gondolieri. Era una canzone che aveva imparato da Fernanda Pivano quando era a Cortina d’Ampezzo: “tutti mi chiamano bionda, ma bionda io non sono”. Prima di morire, Hemingway era ritornato al Grand Hotel des Iles Borromées, nell’ottobre del 1948, e aveva scritto nel libro delle firme: “An old client”, stavolta era vecchio davvero.