Quei bimbi sulle bici presi a parolacce

L’editoriale di Mario Chiodetti

Chissà che genere di bambini sono stati gli incarogniti automobilisti che ieri mattina schiumavano fiele chiusi nelle loro macchine, mentre davanti a loro sfilavano 350 mini ciclisti delle scuole medie di Varese, tutti con caschetto e pettorina, liberi come il vento nel sole d’aprile.
Quanta e quale rabbia, impazienza e frustrazione devono aver macinato nella loro infanzia per non sopportare nemmeno cinque minuti di sosta in coda per lasciar passare un arcobaleno su due ruote e ascoltare la babele di voci bianche che commentava la Grande Passeggiata per le vie del centro,

con il traguardo della felicità posto in piazza della Repubblica.
La Fiab Ciclocittà ha unito sette scuole per l’edizione numero quindici di “Pedaliamo insieme”, inno al movimento e momento di crescita per i bambini, guidati dai loro insegnanti e pronti a scoprire la città riconoscendone da vicino odori e suoni, colori e “cose da grandi” da commentare poi in classe e in famiglia.
Una festa, un meraviglioso spot in technicolor nel grigio quotidiano di semafori e lavori in corso, soste in tripla fila e sgommate agli incroci, che i travet dell’automobile hanno voluto rovinare con i soliti prevedibili segni portati da ignoranza e arroganza, in aumento esponenziale con il crescere di cilindrate e metri cubi di lamiera.
Clacson a sirena, urlacci da curva sud, maledizioni a madri e parenti di bambini e organizzatori, il campionario completo che oggi siamo abituati a veder sciorinato alla minima contrarietà e si trasforma in omicidio plurimo se ci sono di mezzo soldi, presunti tradimenti o semplicemente questioni di parcheggio in cortile.
Chi sbraita e bestemmia è lo stesso che parla al cellulare senza auricolari, mangia tramezzini mentre affronta le curve, piazza il suv sulle strisce pedonali, se ne frega dei sensi unici e abolisce le cinture di sicurezza perché rovinano il maglione di cashmere. O che su Facebook, con toni da rastrellamento, imputa il presunto blocco del traffico in una delle vie più caotiche della città, a qualunque ora del giorno, ai bambini in bicicletta, colpevoli di aver danneggiato chi deve andare al lavoro (alle 9,30? Complimenti) e ritardato il normale andamento degli autobus.
Chi ritiene una puttanata (testuale) la pacifica invasione di centinaia di bambini in sella alle loro minuscole biciclette, dovrebbe girare in macchina a Shangai nell’ora di punta, ottimo test per coronarie, corde vocali, improperi assortiti e istinti omicidi per l’automobilista medio italiano, che notoriamente vive il traffico come la battaglia di Marengo, con il suo crossover parente dell’ultimo cingolato di El Alamein.
Il nostro universo quotidiano è ormai fatto di disumana rapidità, siamo pronti ad accoppare il computer se soltanto ci impiega una frazione di secondo in più ad aprire la posta, a gettare il cellulare contro il muro se per un minuto non vediamo il selfie della fidanzata, a inveire contro il sistema se dal panettiere ci sono due persone davanti. Figuriamoci una colonna di 350 biciclette che per qualche minuto osa contrastare il dominio automobilistico in una città dove il ciclista (e il pedone) rischia a ogni metro.
Gli Erode del volante probabilmente non hanno mai avuto un papà che li portava a Bizzozero sulla canna della bicicletta, si vestivano da Fittipaldi a carnevale e avvelenavano il tamagotchi. Non hanno mai osservato gli aironi volare sopra piazza Monte Grappa. Dalla bicicletta, si può.